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Accesso agli atti

DINIEGO ACCESSO AGLI ATTI.IL TAR DI MILANO CONDANNA LA SCUOLA AL PAGAMENTO DELLE SPESE DI GIUDIZIO A SEGUITO DI DINIEGO ALL’ACCESSO AGLI ATTI DA PARTE DI UN DOCENTE.

(Tar Milano, Sezione III, sentenza n.1839/2017)

A seguito di ricorso presentato da questo studio legale, il TAR per la Lombardia di Milano, con sentenza n.1839 del 24.11.2017, ha condannato un istituto scolastico al pagamento integrale delle spese legali, liquidate complessivamente in circa 3.000,00 euro, per aver ingiustamente negato al ricorrente, docente in graduatoria presso la scuola, il proprio diritto di accesso agli atti in relazione al procedimento che aveva condotto all’individuazione dei destinatari dei contratti a tempo determinato e alla stipula degli stessi. L’istanza d’accesso agli atti del docente era finalizzata a conoscere i presupposti del provvedimento che ha condotto la scuola alla nomina e alla conseguente stipula di contratti a termine di due docenti che, secondo il ricorrente, erano collocati in graduatoria in posizione deteriore rispetto alla propria. Pertanto, solo a seguito della presentazione del ricorso, l’istituto ha provveduto al deposito dei documenti richiesti. Dunque, depositata la documentazione e venuto meno l’interesse all’azione, con il provvedimento citato il TAR di Milano, oltre a dichiarare cessata la materia del contendere, ha altresì condannato l’istituto al pagamento integrale delle spese legali. Con la pronuncia predetta, avendo l’Amministrazione scolastica ingiustamente violato con un inspiegabile silenzio la legittima richiesta del ricorrente, è stato affermato il giusto diritto all’accesso dei documenti amministrativi ovvero le regole e i valori fondanti del nostro ordinamento nel quale la Pubblica Amministrazione deve essere sempre al servizio dei cittadini e non, come accaduto nel caso di specie, negare ai medesimi i propri diritti, costringendoli ingiustamente a sopportare i costi di un processo per vedersi riconosciute le proprie ragioni.

Milano, 11 dicembre 2017.

Clara Lacalamita

CONCORSI - TRASPARENZA E ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO
(Adozione e pubblicazione preventiva dei criteri di valutazione della Commissione esaminatrice in sede concorsuale)

Nel quadro del nuovo decreto trasparenza presentato dal Governo - D.Lgs. n. 97 del 25 maggio 2016 - Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche – il Legislatore ha apportato una modifica all’art. 19 del D.Lgs. 33/2013 sui bandi concorsuali; il comma 1 del predetto articolo disponeva in origine quanto segue: “Fermi restando gli altri obblighi di pubblicità legale, le pubbliche amministrazioni pubblicano i bandi di concorso per il reclutamento, a qualsiasi titolo, di personale presso l'amministrazione.” L’art. 18 del D.Lgs. n. 97/2016 ha aggiunto al comma 1, dopo le parole “presso l’amministrazione” la seguente modifica: “nonché i criteri di valutazione della commissione e le tracce delle prove scritte”.
Detta modifica consentirebbe dunque ai candidati e partecipanti alle procedure concorsuali di godere di una maggior tutela in ragione di una trasparenza preventiva, ponendosi dunque il linea con la ratio dello stesso decreto trasparenza del Governo volto ad introdurre maggiori ed efficienti strumenti contro la corruzione. Al momento, come noto, l’esercizio del diritto di accesso documentale agli atti, di cui alla l. 241/1990, può essere esercitato solo da chi dimostri di essere titolare di un interesse specifico, concreto e attuale. Con il nuovo decreto trasparenza, invero, detti documenti sarebbero consultabili ab origine on-line da chiunque ne abbia interesse.
Si segnala tuttavia che, rispetto a tale innovazione, è intervenuto in senso contrario il Consiglio di Stato, con parere n. 515/2016 con il quale il Collegio ha ritenuto “di non poter condividere l’estensione dell’obbligo di pubblicazione ai criteri di valutazione adottati dalle commissioni esaminatrici nella correzione delle tracce delle prove scritte. Tale prescrizione, infatti, rischia di essere fuorviante, creando un precedente in grado di incidere sul potere di ogni commissione di esame di decidere, di volta in volta, quali debbano essere i criteri, con il rischio, altresì, di creare ulteriori motivi di contenzioso in un settore già molto esposto “.
Nonostante il parere contrario del Consiglio di Stato, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale pare tuttavia proseguire nella direzione avviata dal Governo con il decreto trasparenza del 2013.
Giova in tal senso, sotto il più specifico profilo della preventiva adozione dei criteri di valutazione della commissione esaminatrice, segnalare la pronuncia del T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 27.2.2016 n. 1087, in base alla quale detti criteri di valutazione nonchè le modalità delle prove concorsuali, devono essere stabiliti dalla commissione nella sua prima riunione risultando dunque illegittimo il procedimento di concorso per il quale non siano stati predeterminati i criteri di valutazione delle prove. Il principio appena esposto è stato del resto già formulato dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 14893 del 21.6.2010 nella quale la Corte ha così disposto: “il Legislatore ha imposto alla commissione esaminatrice la preventiva, generale ed astratta posizione delle proprie regole di giudizio, al fine di assicurare che le singole, numerose, anche remote valutazioni degli elaborati siano tutte segnate dai caratteri dell’omogeneità e permanenza. Solo attraverso la fissazione di tale preventiva cornice è possibile assicurare l’auspicabile risultato di una procedura concorsuale trasparente ed equa" (Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sentenza n. 14893/2010).
Si ricordi peraltro che, riguardo la materia trattata nel presente commento, il Governo è già intervenuto con il cosiddetto Freedom of Information Act (FOIA) approvando definitivamente il primo decreto attuativo della riforma della pubblica amministrazione in materia di diritto di accesso agli atti amministrativi introducendo, in nome della massima trasparenza, il cosiddetto accesso generalizzato. Per esercitare questo diritto non è necessario avere una qualifica determinata o essere in una situazione particolare che legittimi la richiesta: l’istanza è gratuita e non va motivata. Il diritto di accesso documentale, di cui alla legge 241/1990, è dunque, nella sua recente evoluzione normativa, non più un diritto il cui esercizio soggiace alla sussistenza di determinati presupposti, bensì diviene regola generale cui le amministrazioni non potranno più sottrarsi salvo specificare le ragioni dell’eventuale rifiuto.
Il quadro sino ad ora delineato dovrebbe pertanto rassicurare i partecipanti ad un concorso pubblico i quali potranno dunque denunciare il comportamento dell’Amministrazione sotto il doppio profilo della mancata adozione e della mancata pubblicazione preventiva dei criteri di valutazione adottati dalla commissione, potendo assumere le opportune tutele giudiziali avverso l’Amministrazione che violi le normative predette.

Milano, 2 marzo 2017.

Clara Lacalamita

 

TRASPARENZA SOTTO CONTROLLO
(Atti e graduatorie consultabili ma tutela della riservatezza)

Le linee guida in materia di trattamento di dati personali contenuti in atti e documenti amministrativi pubblicati sul web forniscono anche indicazioni più specifiche riferite a singole fattispecie di pubblicazione, invitando all’adozione delle medesime cautele che contemperino le finalità di trasparenza e pubblicità dell'azione amministrativa, nonché di consultazione di atti su iniziativa di singoli soggetti, con quelle di tutela contro la indiscriminata e incondizionata reperibilità dei dati in Internet.
Quanto agli atti e documenti on line a fini di pubblicità degli atti, con specifico riferimento alla pubblicazione degli esiti delle prove concorsuali e delle graduatorie finali di concorsi e selezioni pubbliche mediante l'utilizzo del sito istituzionale dell'amministrazione di riferimento, è noto che detto regime di conoscibilità assolve principalmente alla funzione di consentire il controllo sulla regolarità da parte dei soggetti interessati. Al riguardo, il Garante indica come appropriate modalità di diffusione che consentono agli interessati di conoscere i dati personali consultando il sito istituzionale dell'amministrazione competente, evitando nel contempo che i medesimi dati siano liberamente reperibili utilizzando i comuni motori di ricerca esterni. E' infatti preferibile consentire ai partecipanti di accedere ad aree del sito istituzionale nelle quali possono essere riportate anche eventuali ulteriori informazioni (elaborati, verbali, valutazioni, titoli anche di precedenza o preferenza, pubblicazioni, curricula, ecc.), attribuendo agli stessi credenziali di autenticazione (es. username o password, n. di protocollo o altri estremi identificativi forniti dall'ente, ovvero mediante utilizzo di dispositivi di autenticazione). Devono ritenersi certamente pertinenti ai fini della pubblicazione on line gli elenchi nominativi ai quali vengano abbinati i risultati di prove intermedie, gli elenchi di ammessi a prove scritte o orali, i punteggi riferiti a singoli argomenti di esame, i punteggi totali ottenuti.
Analoghe cautele devono essere adottate in relazione alle pubblicazioni effettuate nel quadro delle ordinarie attività di gestione di rapporti di lavoro (es., graduatorie di mobilità professionale; provvedimenti relativi all'inquadramento del personale, all'assegnazione di sede, alla progressione di carriera, all'attribuzione di incarichi dirigenziali).
Quanto agli atti e documenti pubblicati on line a fini di trasparenza, con riferimento ai dipendenti pubblici, le linee guida indicano che non si possono riprodurre sul web i dati sullo stato di salute, i cedolini dello stipendio, l'orario di entrata e di uscita, l'indirizzo privato, la e-mail personale. Sono invece conoscibili da chiunque i livelli retributivi, i tassi di assenza, i risultati raggiunti, l'ammontare dei premi collegati alle performance, ma solo se in forma anonima o aggregata. Possono essere diffusi la retribuzione e i curricula di dirigenti, segretari comunali e provinciali, gli incarichi di collaborazione e consulenza, il ruolo dei dirigenti, i ruoli di anzianità e i bollettini ufficiali.
Con riferimento ai beneficiari di contributi economici e agevolazioni, è possibile pubblicare l'albo dei soggetti cui sono stati erogati contributi, sovvenzioni, crediti, o riconosciute agevolazioni, sussidi o altri benefici. In tali elenchi possono essere riportati i dati identificativi (nome, cognome e data di nascita) omettendo invece di indicare il codice fiscale, le coordinate bancarie, le informazioni che descrivano le condizioni di indigenza e le informazioni sullo stato di salute.
Quanto infine agli atti e documenti on line a fini di consultabilità, riguardo al collocamento obbligatorio dei disabili, secondo l’Autorità garante è lecito mettere a disposizione, ma solo a determinate categorie di soggetti legittimati e mediante accesso dedicato o con uso di username e password, gli elenchi di soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio, come i disabili appartenenti a categorie protette e i centralinisti telefonici non vedenti.

Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 12 del 10 – 23 giugno 2011

 

 

Commento giurisprudenziale

L’ACCESSO AI PARERI LEGALI NON VALE PER QUELLI SEGRETI
(Il diritto di visione è esercitabile solo nei confronti degli atti inseriti in procedimento amministrativo)

Il diritto di accesso è esercitabile nei confronti dei soli pareri legali - resi anche da professionisti esterni - che si inseriscono oggettivamente nell’ambito di un procedimento amministrativo, con esclusione dei pareri connessi con un procedimento contenzioso, posto che in tale evenienza il parere è da ritenersi coperto da segreto a tutela delle garanzie di difese riconosciute anche alle amministrazioni pubbliche. In altre parole, il discrimine tra l’accessibilità o meno al parere reso da un legale esterno o interno ad una amministrazione non è costituito dalla natura dell’atto, ma dalla funzione che svolge nell’attività dell’amministrazione stessa. Così ha deciso il TAR Liguria, con sentenza n. 3782 del 17 dicembre 2009, confermando un precedente orientamento del Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2.4.2001, n. 1893).
La vicenda
Il ricorrente, professore universitario, chiedeva di accedere ai pareri che l’Ateneo di appartenenza aveva chiesto sia all’Ufficio legale interno che all’Avvocatura dello Stato al fine di dirimere una controversia sorta con il proprio docente.
Sennonché l’amministrazione rilasciava copia dei pareri prodotti con numerose omissioni che, a dire del ricorrente, ne rendevano impossibile la comprensione. Per quanto sopra il professore, dopo aver sollecitato l’esibizione integrale dei documenti, nella perdurante inerzia dell’ateneo, adiva il TAR con ricorso. Il docente fondava il proprio diritto di accesso sulla necessità di poter difendere i propri interessi giuridici; sulla impossibilità di sottrarre alla visione gli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere detti interessi giuridici; sulla circostanza che l’elenco degli atti esclusi per legge dall’accesso non comprendono la documentazione domandata dal professore, senza contare che la legge comunque lascia salva la prevalenza della necessità di conoscere anche quegli atti, per sé stessi generalmente inaccessibili, in caso di cura o difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta.
Il Tribunale amministrativo adito respinge il ricorso del docente giudicando la sua pretese di accesso priva di fondamento.
Motivi della decisione
Il giudice richiama la più recente giurisprudenza amministrativa che ha più volte avuto modo di precisare come nell’ambito degli atti coperti da segreto, come tali sottratti per legge al diritto d’accesso, rientrino in linea generale gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’amministrazione, in quanto detto segreto gode di una tutela qualificata, enucleata dalla disciplina dettata dalle norme codicistiche. Debbono quindi ritenersi accessibili i soli pareri resi, anche da professionisti esterni all’amministrazione, che si inseriscono nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale, posto che in tale evenienza il parere è oggettivamene correlato ad un procedimento amministrativo, mentre debbono ritenersi coperti da segreto i pareri resi dopo l’avvio di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo), oppure dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose (Consiglio Stato, Sezione V, 2 aprile 2001, n. 1893).
In particolare, il Consiglio di Stato osserva che il diritto di accesso affermato dalla legge 241 del 1990 non travolge le diverse ipotesi di segreti, previsti dall’ordinamento, finalizzati a tutelare interessi specifici, diversi da quello riconducibile, secondo l’impostazione più tradizionale, alla mera protezione dell’esercizio della funzione amministrativa. In tali eventualità, i documenti non sono suscettibili di divulgazione, perché il principio di trasparenza cede a fronte dell’esigenza di salvaguardare l’interesse protetto dalla normativa speciale sul segreto. Nell’ambito dei segreti sottratti all’accesso ai documenti rientrano gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’amministrazione. Sono perciò sottratti all’accesso i seguenti documenti: pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente corrispondenza; atti defensionali. La giurisprudenza ha chiarito che detta regola ha una portata generale, e risponde, del resto, ad elementari considerazioni di salvaguardia della strategia processuale della parte, che non è tenuta a rivelare ad alcun soggetto e, tanto meno, al proprio contraddittore, attuale o potenziale, gli argomenti in base ai quali intende confutare le pretese avversarie.
In altri termini, ai fini dell’opposizione del segreto professionale alle istanze di accesso agli atti occorre distinguere fra pareri legali resi in relazione a contenziosi (sottratti al diritto di accesso) e pareri legali che rappresentano, anche per effetto di un richiamo esplicito nel provvedimento finale, un passaggio procedimentale istruttorio di un procedimento amministrativo in corso; solo il primo tipo di pareri, infatti, è sottratto all’accesso, in quanto non è la sola natura dell’atto a giustificare la segretezza, ma la funzione che l’atto stesso svolge nell’azione dell’amministrazione.
Il punto di discrimine tra l’accessibilità o meno del parere reso da un legale esterno o interno ad un ente, quindi, non è costituito dalla natura dell’atto, ma dalla sua funzione.
Se il parere viene reso in una fase endoprocedimentale, prodromica ad un provvedimento amministrativo, lo stesso è ammesso all’accesso, mentre se viene reso in una fase contenziosa o anche precontenziosa, l’accesso è escluso a tutela delle esigenze di difesa.
Tanto premesso, inserendosi in una fase contenziosa, i pareri legali in discussione nella specie non sono accessibili dal ricorrente, per cui questi non può dolersi, in radice, del fatto che essi gli siano stati consegnati in forma incompleta, dato che non sussisteva comunque alcun diritto a prenderne visione. Per le ragioni esposte, il TAR Liguria giudica il ricorso infondato, e come tale lo respinge.

Anna Nardone
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 2 del 22 gennaio - 4 febbraio 2010

 

VALUTAZIONE FINALE ALL’ALBO
Le istituzioni scolastiche possono procedere al trattamento di dati personali soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, ma sono esonerate dalla richiesta di consenso degli interessati. In particolare, possono comunicare i dati relativi agli esiti scolastici, intermedi e finali, degli studenti, ai quali si nega la natura di dati sensibili.
A tale proposito si precisa che per “trattamento” si intende qualunque operazione concernente la raccolta, la consultazione, l'elaborazione, la comunicazione, la cancellazione di dati; per “dato personale”, qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili; per “consenso” quello richiesto ed espresso dagli interessati prima del trattamento di dati personali, specificamente riferito ad un trattamento chiaramente individuato, e manifestato in forma scritta quando il trattamento riguarda dati sensibili. In generale, il trattamento dei dati personali deve avvenire nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali, riducendo al minimo l'utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l'interessato solo in caso di necessità (principio di necessità nel trattamento dei dati). I dati personali oggetto di trattamento devono essere esatti, pertinenti, completi, e, se necessario, aggiornati; trattati in modo lecito e secondo correttezza; per scopi determinati ed espliciti; conservati per un periodo di tempo non superiore al necessario.
Con particolare riferimento agli istituti scolastici, è ammessa in genere la comunicazione ed anche la pubblicazione dei dati relativi agli esiti scolastici, intermedi e finali, degli studenti, ai quali si nega la natura di dati sensibili. A detto proposito, la stessa Autorità Garante per la privacy ha espresso il parere che "nessuna norma della legge sulla privacy vieta la comunicazione dei risultati degli scrutini, che, al contrario devono essere pubblicati, come esplicitamente previsto dalla normativa in materia". Il Ministero, a sua volta, ha avuto modo di chiarire che anche le valutazione relativa all’insegnamento della religione cattolica non sono da ritenere dati sensibili - sottratti dalla pubblicazione prevista per le altre materie agli albi delle scuole: da un lato, le operazioni di scrutinio presuppongono la valutazione da parte del competente consiglio di classe di tutte le materie previste dal programma d'insegnamento, mediante espressione di voti, compresa la disciplina religione cattolica, relativamente agli alunni che ne hanno richiesto l'insegnamento; dall’altro, la scelta di ricevere l'insegnamento della religione cattolica non denuncia di per sé l'intimo convincimento della fede abbracciata.
Nel dettaglio, la disciplina sulla pubblicazione all’albo delle scuole dell’esito degli esami e degli scrutini ha subito negli ultimi anni cambiamenti significativi, determinati dalla maggiore sensibilizzazione al tema della tutela della riservatezza.
Le norme sanciscono che in caso di esito negativo degli scrutini e degli esami, l’indicazione dei voti delle singole materie, e quindi anche dei voti non sufficienti, all’albo dell’Istituto, è sostituita con il riferimento al solo risultato finale negativo riportato: “non ammesso alla classe successiva”, “non qualificato”, ”non licenziato”. Inoltre, le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia di valutazione, definiscono idonee modalità di comunicazione preventiva alle famiglie dell’esito negativo degli scrutini e degli esami. Con riferimento all’esame di Stato, l'esito dell’esame con l’indicazione del punteggio finale conseguito, inclusa la menzione della lode qualora attribuita dalla Commissione, è pubblicato, per tutti i candidati, nell'albo dell'istituto sede della commissione, con la sola indicazione della dizione ESITO NEGATIVO nel caso di mancato superamento dell’esame stesso; il punteggio finale deve essere riportato, a cura della Commissione, sulla scheda di ciascun candidato e sui registri d'esame (OM 8.4.2009 n. 40).
La concreta attuazione della normativa a tutela dei dati personali da parte delle istituzioni scolastiche ha avuto una svolta con l’approvazione - nel dicembre 2006 – del Regolamento recante identificazione dei dati sensibili e giudiziari trattati e delle relative operazioni effettuate dal Ministero della pubblica istruzione, in attuazione del Codice privacy. In particolare, nelle schede allegate si identificano le tipologie di operazioni eseguibili sui dati sensibili, nei vari contesti dell’attività scolastica, e si individuano, per ogni ambito del complesso sistema d’istruzione, tipologie di trattamento e relativo contesto, indicando anche il flusso informativo dei dati; finalità di rilevante interesse pubblico perseguite; fonti normative; tipi di dati trattati; operazioni eseguite.

Domenico Barboni
Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 9 del 1 – 14 mag. 2009

 

EQUILIBRIO TRA DIRITTO DI ACCESSO E PRIVACY
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi incontra un limite nella tutela della riservatezza dei terzi; ne deriva che il diritto alla privacy non può essere sacrificato se non in casi estremi, restando altrimenti possibile assicurare l'accesso mediante la schermatura dei nomi dei soggetti menzionati nei documenti, ovvero attraverso l'assenso delle persone coinvolte. Così decide il Consiglio di Stato, Sez. V, precisando, comunque, che sia il diritto all'informazione sia quello alla privacy costituiscano due interessi di rango primario, meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico attraverso la ricerca e l'identificazione di un punto di equilibrio che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, tenga conto della necessità di assicurare la tutela dell'interesse di cui è titolare il soggetto che esercita il diritto di accesso, ma anche dell'esigenza di salvaguardare l'interesse alla riservatezza dei controinteressati (cfr. sentenza 28.9.2007, n. 4999).
La vicenda
Il ricorrente presentava all'amministrazione un'istanza di accesso a documenti amministrativi finalizzata ad avere informazioni relative a soggetti terzi al rapporto tra il ricorrente e l'amministrazione stessa. Quest'ultima aveva accordato un accesso agli atti in suo possesso limitato dalle cautele dettate dall'esigenza di salvaguardare la riservatezza dei terzi, ai sensi della legge sulla protezione dei dati personali. Il ricorrente lamentava innanzi al giudice che negare il diritto alla piena visione della documentazione e concedere all'amministrazione il potere discrezionale di limitare l'accesso alla sola visione di copie di atto contenenti nominativi cancellati e privi di qualsivoglia utilità, significava sostanzialmente svuotare di significato lo stesso diritto d'accesso. Secondo la difesa del ricorrente, la pretesa tutela della riservatezza dei soggetti terzi era destinata a recedere considerato che l'accesso era esercitato per la tutela di un interesse giuridico. In conclusione, chiedeva che venisse disposta la piena e completa esibizione, senza omissioni né cancellazione di nominativi, dei documenti richiesti. Il Consiglio di Stato respinge la richiesta dal ricorrente giudicando che correttamente l'amministrazione ha limitato il diritto di informazione attraverso le descritte cautele.
Motivi della decisione
Il Consiglio di Stato osserva che la controversia si incentra sul prospettato conflitto tra due interessi di rango primario che, in quanto tali, devono ritenersi entrambi meritevoli di costante ed adeguata tutela da parte dell'ordinamento giuridico: quello all'informazione, che si realizza attraverso l'esercizio del diritto di accesso alla documentazione amministrativa e riposa sull'esigenza di trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa; e quello alla riservatezza dei soggetti terzi, che inerisce alla sfera degli assetti privatistici e si traduce, in ultima analisi, nella necessità di garantire la segretezza dei c.d. dati sensibili, quali risultano individuati e definiti dal legislatore nella normativa di riferimento, che specificamente contiene la disciplina della protezione dei dati personali. Nella specie, l'amministrazione consentiva l'accesso selezionando sostanzialmente i dati che non potevano essere comunicati senza previo assenso delle persone interessate, ai sensi della legge sulla protezione dei dati personali. E il ricorrente si doleva che in tal modo l'amministrazione si sarebbe praticamente sottratta all'obbligo di trasparenza.
Il Giudice premette di non ignorare che la più recente giurisprudenza amministrativa ha elaborato un indirizzo interpretativo che privilegia il diritto di accesso, considerando per converso recessivo l'interesse alla riservatezza dei terzi, quando l'accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso sia necessario alla difesa di quell'interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 aprile 2006, n. 2223.
Precisa tuttavia che detto principio va applicato attraverso la ricerca e l'identificazione di un punto di equilibrio che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, tenga conto della necessità di assicurare la tutela dell'interesse giuridicamente rilevante, di cui è titolare il soggetto che esercita il diritto di accesso, ma anche di salvaguardare le esigenze delle situazioni giuridiche e delle posizioni dei controinteressati, quali il diritto alla riservatezza (cfr. Cons. Stato, A.P., 18 aprile 2006, n. 6)
È indispensabile, insomma, un'attenta valutazione, caso per caso, delle situazioni giuridiche in conflitto, in grado, da un lato, di garantire la difesa di un interesse giuridicamente rilevante, ancorché nei limiti in cui l'accesso sia effettivamente necessario alla tutela di quell'interesse; e, dall'altro, di salvaguardare, ove ciò risulti possibile, il diritto alla riservatezza, al quale la legge riconosce ugualmente una particolare tutela.
Si impone, dunque, l'ineludibile esigenza che siano rigorosamente verificate l'effettività e la concretezza del collegamento dell'accesso al documento con la dichiarata esigenza di tutela (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2006, n. 5718), giacché il diritto alla c.d. privacy non può essere sacrificato se non a titolo di estrema ragione, restando altrimenti possibile assicurare un ampio esercizio del diritto di accesso, pur salvaguardando l'interesse alla riservatezza mediante modalità, alternative alla limitazione o al diniego dell'accesso, che utilizzino, ad esempio, la schermatura dei nomi dei soggetti menzionati nei documenti, che si dichiarino fermamente intenzionati a mantenere l'anonimato, o che, invece, si avvalgano dell'assenso delle persone di volta in volta indicate nei documenti in questione (cfr. per il principio, Cons. Stato, Sez. VI, 22 novembre 2005, n. 6524.
Ed è ciò che ha appunto fatto l'amministrazione nella specie, allorché, con ragionevolezza e condivisibile buon senso, ha ravvisato la necessità di selezionare i dati non suscettibili di essere comunicati senza il previo assenso delle persone interessate, omettendoli dai documenti concessi in visione.

Anna Nardone

Pubblicato su "il sole 24 ore scuola" n. 22, 21 dicembre 2007 - 10 gennaio 2008

 

NOTIZIE SULLA CARRIERA SCOLASTICA
E una nota del 20 dicembre 2005 indirizzata ai direttori generali degli uffici scolastici regionali, l’atto con il quale il ministro dell’istruzione ha infine accolto le istanze avanzate da tempo, con costanza e determinazione, dai genitori separati e divorziati non conviventi, relative al riconoscimento del loro diritto ad avere notizie e documentazione sulla carriera scolastica dei figli. La circolare fa seguito ad un parere favorevole del Ministero della Giustizia relativo appunto alla possibilità per il genitore non affidatario, in situazione di separazione e/o divorzio, di potere esercitare il diritto di seguire il figlio nel percorso scolastico. La nota ministeriale muove dall’esame delle norme vigenti in materia, secondo le quali la potestà sui figli minori è attribuita ad entrambi i genitori e deve essere esercitata di comune accordo, o quantomeno concordata nelle linee generali di indirizzo, sulla base delle quali ciascun genitore potrà e dovrà operare anche separatamente. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei; salvo il potere del padre, se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, di adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili. Le norme, peraltro, aggiungono che il giudice suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare; e se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio. In caso di separazione, il giudice dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essi. In particolare il giudice stabilisce la misura e il modo con cui l'altro coniuge deve contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi. Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi. Tuttavia, anche quando l'esercizio della potestà è attribuito ad uno solo dei genitori, in genere il genitore affidatario, le decisioni di maggiore interesse sono adottate da entrambi i coniugi. Il coniuge, cui i figli non siano affidati, ha poi il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione - e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. Fermo restando che i coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi. Invero, la funzione educativa - di cui peraltro la potestà è mero strumento - deve svolgersi tenendo conto in via primaria della necessità di sviluppo della personalità del figlio, inteso come soggetto di diritti nella sua centralità, anziché delle aspettative e degli interessi personali dei genitori. E' proprio in conseguenza di tali comportamenti, quando si configurino gravi forme di carenza di assistenza e cura ovvero di abuso, che il genitore – sia esso affidatario o non affidatario dei figli - potrà incorrere nella decadenza della potestà genitoriale, su provvedimento del giudice. E solo in tale ultimo caso, a tutela del figlio nei confronti del quale è stata posta in essere la condotta pregiudizievole, il genitore decaduto dalla potestà genitoriale sarà conseguentemente decaduto da qualunque diritto e dovere nei confronti dell'educazione dei figli. Sulla scorta di tali premesse, il ministro conclude invitando le autorità scolastiche regionali, secondo le rispettive competenze, a voler favorire l'esercizio del diritto dovere del genitore separato o divorziato non affidatario di vigilare sull'istruzione ed educazione dei figli e conseguentemente di accedere alla documentazione scolastica degli stessi.

Domenico Barboni

Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 2, 27 gennaio – 9 febbraio 2006

 

IL DIRITTO ALL’INFORMAZIONE
Dopo anni di istanze, azioni giudiziarie, manifestazioni, con una circolare del Ministero dell’Istruzione del 20.12.2005 vengono finalmente accolte le richieste dei coniugi separati o divorziati non affidatari volte al riconoscimento del diritto ad avere notizie e documenti completi relativi alla carriera scolastica dei figli. Il movimento per i diritti civili dei figli di genitori separati - formato dalle associazioni "figli negati", "papà separati", “caro papà” e “armata dei padri”, considerato che solo nel 10% dei casi di separazione o divorzio i figli vengono affidati ai padri – aveva più volte sollecitato il ministro dell’istruzione ad inviare a tutti gli istituti scolastici italiani di ogni ordine e grado una circolare con l'autorizzazione a consegnare le pagelle scolastiche dei propri figli anche ai genitori non affidatari. Ciò dopo che troppo spesso capitava che genitori separati che si recavano a scuola per avere notizie sull’andamento dei figli, ovvero per richiedere copia delle pagelle, venissero cacciati perché ritenuti privi di diritti in quanto non erano i genitori affidatari. Peraltro, vi era stato un precedente favorevole nel gennaio del 2000, quando il Provveditorato agli Studi di Napoli aveva comunicato a tutti i dirigenti scolastici degli istituti di Napoli e provincia di assicurare ai genitori degli alunni, separati e non conviventi e non affidatari, ogni diretta e completa notizia sulle vicende scolastiche dei propri figli. Le associazioni su citate da tempo lamentavano l’arretratezza del sistema normativo italiano rispetto al resto d’Europa, evidenziando che il diritto dei figli ad avere due genitori è inviolabile, anche quando i genitori si separano; e che lo stesso codice civile afferma che la potestà comune dei genitori non cessa quando, a seguito di separazione o divorzio i figli vengono affidati ad uno di essi; e che il genitore che non esercita la podestà ha il potere di vigilare sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio minore. Denunciavano che nel nostro paese i figli vengono considerati quasi come proprietà privata del genitore affidatario, ignorando completamente la condivisione dei ruoli genitoriali; tra i genitori non c’è dialogo, e il padre è tenuto all’oscuro sia delle scelte scolastiche del figlio, sia dei profitti, sia dei problemi: a quest’ultimo proposito, è comune che l’ex coniuge taccia dei risultati negativi del figlio affidato, temendo forse di dover ammettere un errore nella sua educazione. E così il genitore non affidatario viene a conoscenza dei problemi solo quando ormai è troppo tardi, e comunque non può fare nulla. Il problema affrontato era poi senz’altro rilevante, in considerazione del fatto che almeno il 40% dei bambini che frequentano la scuola primaria è figlio di separati. La notizia della circolare ministeriale 20.12.2005 che riconosce il diritto dei genitori separati o divorziati non affidatari di poter vigilare sull'educazione dei propri figli, e il conseguente obbligo delle scuole di fornire notizie sul loro andamento scolastico consegnandogli, se richiesta, anche la documentazione scolastica e le pagelle, ha suscitato l’immediata soddisfazione nelle varie associazioni che tutelano i genitori - principalmente i padri – separati. A detta di tali associazioni, la scelta del ministero dell’istruzione rappresenta, oltre che una pagina di civiltà del nostro paese, un premio al loro impegno e alla costanza nel negare di essere dei genitori di seconda classe; essa elimina finalmente, nelle scuole pubbliche e private, l’ingiusta discriminazione tra padri sposati e padri separati, e avvia la riscossa culturale dei padri separati italiani. Il movimento per i diritti dei figli e dei genitori separati promette che continuerà a manifestare, con pari civiltà e passionalità, per quelle altre riforme del diritto di famiglia che ritiene fondamentali per assicurare ai figli la presenza concreta e costante di entrambi i genitori, anche in caso di separazione e divorzio.
Per effetto della più volte citata nota ministeriale, gli istituti scolastici dovranno comunicare tutti i momenti salienti della vita educativa degli alunni, compresi gli incontri con i docenti e i voti in pagella, anche alla parte non affidataria (nel 90% dei casi il padre), nel caso in cui i genitori sono separati. In tal modo si agevola una maggiore condivisione dei compiti genitoriali, al di là della posizione formalmente riconosciuta dal giudice di genitore affidatario e non affidatario, nell’interesse di uno sviluppo della personalità del minore più equilibrato e sereno. Ed anche in linea con le norme vigenti, le quali affermano che anche quando l'esercizio della potestà è attribuito ad uno solo dei genitori, in genere il genitore affidatario, le decisioni di maggiore interesse sono adottate da entrambi i coniugi; e che, in ogni caso, il coniuge cui i figli non siano affidati, ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione.

Domenico Barboni

Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 2, 27 gennaio – 9 febbraio 2006

 

SI’ ALL’ACCESSO AI DATI, MA IN FORMA ANONIMA
Sussiste un interesse diretto, concreto ed attuale in capo al giornalista che voglia accedere agli atti relativi a situazioni economiche e giuridiche di dipendenti pubblici, qualora attraverso quelli intenda esercitare un diritto costituzionalmente garantito come è quello alla libera informazione. Tale facoltà di accesso deve però essere esercitata con la garanzia che il trattamento dei dati personali si svolga in osservanza dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali. Ne consegue che è consentita la conoscenza in forma anonima, sempre che si tratti di dati riconducibili ad una finalità di interesse pubblico, quali quelli volti a valutare la qualità dei servizi resi e dei risultati conseguiti. In questi termini si pronuncia il Tribunale Amministrativo per la Toscana, sezione II, in una recentissima sentenza (18.11.2005 n. 6458).
La vicenda
La ricorrente, nella sua qualità di giornalista, aveva chiesto di poter avere accesso alla documentazione relativa all’elenco di alcuni dipendenti pubblici che avevano ottenuto benefici economici in base alle valutazioni delle prestazioni individuali effettuate dai dirigenti, con l’indicazione della cifra che a ciascuno era stata corrisposta in virtù di questa valutazione. L’amministrazione aveva respinto l’istanza argomentando che l’accesso ai documenti relativi al trattamento giuridico ed economico dei dipendenti fosse escluso per ragioni di tutela della riservatezza, in linea con le previsioni del Codice della privacy.
La giornalista ha quindi domandato al Tribunale amministrativo regionale il riconoscimento del diritto di accesso agli atti indicati, attraverso l’annullamento del provvedimento di diniego.
Il Giudice accoglie in parte le ragioni della giornalista, affermando che i dati richiesti, strettamente ancorati alla valutazione della qualità del lavoro svolto, sono dalla medesima accessibili, ma in forma anonima e senza che sia possibile ricondurre l’emolumento, l’indennità o la retribuzione al nome del dipendente in favore del quale essa è stata riconosciuta.
Motivi della decisione
Il collegio giudicante giunge alla sua decisione movendo da alcune pacifiche acquisizioni di principio, costantemente affermate dalla giurisprudenza.
Il diritto di accesso agli atti delle amministrazioni è sempre condizionato dalla dimostrazione della sussistenza di un interesse al suo esercizio: tale conclusione è oggi più che mai confermata (nonostante nel diritto comunitario non vi siano barriere all’accesso documentale legate alla dimostrazione dell’interesse che qualifichi la domanda del richiedente), se non addirittura rafforzata, dalla nuova formulazione dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990 (come modificato dalla recente l. n. 15 del 2005), laddove il legislatore condiziona l’accesso alla sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale del richiedente alla conoscenza del contenuto di un documento amministrativo. Anche i documenti giuridicamente di natura privatistica, come debbono ritenersi tutti quelli attinenti al rapporto di impiego pubblico privatizzato presso le pubbliche amministrazioni, sono accessibili nei medesimi termini vista la loro intima connessione all’esercizio di funzioni pubbliche. Attraverso l’istituto dell’accesso non può però consentirsi un controllo generalizzato sull’attività di una pubblica amministrazione, non essendo questo l’intendimento del legislatore del 1990, cosicché per poter esercitare tale facoltà occorre dimostrare di avere un interesse qualificato alla conoscenza del contenuto del documento cui si richiede l’accesso. Nella specie, il giornalista che intenda con il provvedimento rispetto al quale chiede l’accesso esercitare un diritto costituzionalmente garantito come è quello alla libera informazione è titolare di tale interesse qualificato. La facoltà di accesso, nondimeno, deve essere esercitata entro i limiti e tenendo conto delle prescrizioni di cui al Codice della privacy che garantisce in via generale ed inderogabile che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali. A fronte di un interesse del giornalista all’accesso di documenti relativi al rapporto di pubblico impiego, deve tenersi conto della necessità di garantire i diritti fondamentali di riservatezza del personale cui attengano i dati contenuti nei documenti richiesti. Le norme sulla privacy offrono la soluzione in grado di bilanciare i due interessi contrapposti: la diffusione dei dati personali dei dipendenti venga consentita in forma anonima e, comunque, tale da non permettere l'individuazione dell'interessato. Ugualmente, le norme poste a tutela della riservatezza consentono il trattamento dei dati personali in materia di rapporto di lavoro in quanto riconducibile ad una finalità di interesse pubblico: quale può essere, ad esempio, il trattamento finalizzato a valutare la qualità dei servizi resi e dei risultati conseguiti. Nella specie, la giornalista aveva chiarito che la sua richiesta di accesso era volta a conoscere l’elenco dei dipendenti ai quali sono stati riconosciute indennità, emolumenti o differenze retributive in ragione delle valutazioni operate dai dirigenti di settore. Ne consegue che trattandosi di dati strettamente ancorati alla valutazione della qualità del lavoro svolto, ne è sicuramente consentita la conoscenza, però sempre – come su precisato - in forma anonima e senza che sia possibile ricondurre l’emolumento, l’indennità o la retribuzione al nome del dipendente in favore del quale essa è stata riconosciuta. Tale risultato, secondo il giudice, sarà raggiungibile attraverso la consegna alla giornalista ricorrente di copia dell’elenco richiesto con mascheramento dei nominativi e di ogni altro elemento utile a ricondurre l’aspetto economico al nominativo ovvero all’identità del percettore.

Anna Nardone

Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 1, 13 – 26 gennaio 2006

 

ACCESSO AGLI ATTI, IL RIFIUTO PUO’ DIVENTARE REATO
La legge 7 agosto 1990 n. 241 disciplina il fondamentale diritto di accesso ai documenti amministrativi, il cui esercizio è ulteriormente regolamentato dal D.P.R. n. 352 del 1992. Il richiedente deve presentare istanza al capo dell’ufficio che è in possesso o ha formato i documenti. Nell’esame degli atti, l’interessato può farsi sostituire da un delegato o farsi accompagnare da altra persona. Il procedimento di accesso, che comprende anche il rilascio di copie, deve concludersi entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta da parte dell’ufficio competente. L’eventuale rifiuto, limitazione o differimento dell’accesso devono essere motivati in relazione alle circostanze di fatto e di diritto che impediscono il pronto accoglimento dell’istanza. L’ordinamento prevede poi due distinti strumenti per opporsi alle inadempienze della pubblica amministrazione.
Il primo scaturisce dal cosiddetto “silenzio - rifiuto”: se l’amministrazione non evade la richiesta di accesso nel termine di trenta giorni, questa s’intende rifiutata, onde è possibile ricorrere al TAR per ottenere un’ordinanza di esibizione dei documenti. Trattandosi di un ricorso giurisdizionale, è indispensabile l’assistenza di un avvocato; se si ha ragione, di solito, l’amministrazione è condannata al pagamento delle spese legali.
La seconda opzione, meno immediata e più complessa, consiste nella possibilità di esporre i fatti all’autorità giudiziaria perché venga accertata la responsabilità penale del funzionario per “omissione o rifiuto di atti d’ufficio”. L’articolo 328 del codice penale punisce “con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a due milioni” il pubblico ufficiale che, entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta scritta, non compie l’atto del suo ufficio e non espone le ragioni del ritardo. Egli risponderà civilmente anche dei danni eventualmente sofferti dal richiedente. Per la decorrenza del termine, è sufficiente indirizzare l’istanza all’ufficio competente mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Corriere della Sera” 16 aprile1999, inserto Corriere Scuola.

 

DIRITTO DI ACCESSO E INCARICHI DIRIGENZIALI
Il dirigente pubblico vanta un diritto di accedere agli atti relativi alla procedura per il conferimento di incarichi dirigenziali. Il Consiglio di Stato, con decisione del 31 marzo 2005 n. 1364, ha accolto le legittime istanze di partecipazione del ricorrente, giudicando che anche con riferimento ai documenti formati e preesistenti di tale procedimento valutativo deve essere assicurato l’interesse qualificato all’accesso. La decisione si pone in linea con la giurisprudenza amministrativa ormai consolidata in tema di tutela dell’esercizio del diritto di accesso - sancito dalla l. n. 241/1990 e recentemente ribadito con l. n. 15/2005 - e, in particolare, del diritto di accesso di un soggetto a diverso titolo partecipante ovvero interessato ad una procedura per il conferimento di incarichi dirigenziali.
La vicenda
Un dirigente del Ministero della pubblica istruzione, che aveva partecipato ad una procedura per il conferimento di incarichi dirigenziali, avendo appreso informalmente che tali incarichi erano stati conferiti ad altri aspiranti, ha presentato all’amministrazione istanza di accesso alla documentazione relativa ai criteri generali predisposti dall’amministrazione per l’attribuzione degli incarichi; all’iter valutativo – comparativo concretamente seguito; a qualsiasi atto posto dall’amministrazione a fondamento delle nomine conferite. Il Ministero ha negato l’accesso sul presupposto della natura peculiare del procedimento di cui è causa, motivando che la scelta degli incaricati è riservata alla autorità politica. Il dirigente ha ritenuto illegittimo il diniego perché le sue istanze non tendevano a promuovere una ricognizione sui poteri e sulle competenze dell’amministrazione, ma unicamente ad accedere ad atti e documenti concernenti il conferimento delle nomine. Il Consiglio di Stato ha accolto le ragioni del dirigente riconoscendo la sussistenza in capo al medesimo di uno specifico e qualificato interesse ad ottenere l’accesso alla documentazione individuata richiesta, per legge legittimamente acquisibili dall’interessato – partecipante.
Le motivazioni
Il Collegio in primo luogo ha accertato che il ricorrente vantasse una posizione di interesse specifico e qualificato all’accesso agli atti della procedura valutativa di cui è causa. Il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa è quello per cui il diritto di accesso è riconosciuto esclusivamente ai soggetti titolari di un interesse qualificato, concreto, diretto e attuale, non ammettendo al contrario azioni di tipo popolare, volte cioè a consentire un controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione. A tal fine il giudice ha rilevato che il medesimo aveva domandato di essere valutato per il conferimento degli incarichi dirigenziali; pertanto, la mancata partecipabilità ad una procedura per la quale aveva formalmente richiesto la valutazione conferisce al richiedente una posizione soggettiva qualificata circa l’interesse all’accesso alla relativa documentazione. L’accesso, secondo il Consiglio di Stato, non è stato formulato da un soggetto esterno ed estraneo al procedimento, ma da un soggetto idoneo alla effettiva partecipabilità, a cui quindi deve riconoscersi un interesse - tutelabile ai sensi della l. n. 241/1990 – alla conoscibilità degli atti relativi alla procedura di cui ha lamentato l’esclusione, e ciò in quanto la tutela della menzionata norma di garanzia viene in tale contesto a coniugare l’interesse qualificato del singolo con quello generale dell’amministrazione.
Il giudice ha poi valutato la questione della concreta ammissibilità delle istanze di accesso avanzate dal dirigente, con riferimento alla specifica procedura di conferimento degli incarichi dirigenziali, e al tipo di atti interessati. La prevalente opinione giurisprudenziale ritiene che la l. n. 241/1990 tuteli solo le richieste di accesso dirette ad acquisire documenti preesistenti, e non informazioni che presuppongono un’apposita indagine da parte dell’amministrazione e l’elaborazione di un nuovo documento che raccolga i risultati dell’indagine effettuata. A tale proposito, ha rilevato che le istanze erano dirette non tanto a promuovere un’inammissibile richiesta di informazioni o l’esercizio di un’astratta e del pari inammissibile attività di controllo sull’operato dell’amministrazione, quanto ad acquisire documenti preesistenti, già formati ed individuati, fisiologicamente connessi alla procedura di conferimento degli incarichi e alla valutabilità degli aspiranti. L’accesso domandato dal ricorrente aveva infatti per oggetto gli atti relativi ai criteri generali predisposti per il conferimento degli incarichi e gli atti - ivi compresi i curricula dei designati agli incarichi – valutati ai fini del conferimento delle nomine. Si trattava quindi – evidenzia il Consiglio di Stato – di documenti accessibili dall’interessato, nell’ambito del legittimo esercizio di un diritto garantito dalla legge, finalizzato ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa e a favorire lo svolgimento imparziale dell’attività della Pubblica Amministrazione e - per ciò che concerne le procedure concorsuali - a rendere conoscibili tutte le operazioni d’esame, ivi compresi i titoli presentati dai candidati. Pertanto, dal raffronto tra la disciplina legislativa della procedura di conferimento degli incarichi dirigenziali, e la generale tutela garantistica stabilita dalla l. n. 241/1990, il giudice giunge a ritenere che tutti gli atti della riferita procedura valutativa siano legittimamente acquisibili dall’interessato partecipante (o aspirante partecipante tacitamente escluso, come nella specie); ciò purchè ricorrano i presupposti per l’esercizio dell’accesso. Per l’effetto, il Consiglio di Stato ha concluso che è illegittimo il diniego opposto dall’amministrazione nell’erroneo presupposto della riservatezza della procedura.

Anna Nardone

Pubblicato su “il Sole 24 Ore Scuola”, 3 giugno 2005.

 

VALUTAZIONE FINALE ALL’ALBO
Le istituzioni scolastiche possono procedere al trattamento di dati personali soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, ma sono esonerate dalla richiesta di consenso degli interessati. In particolare, possono comunicare i dati relativi agli esiti scolastici, intermedi e finali, degli studenti, ai quali si nega la natura di dati sensibili.
A tale proposito si precisa che per “trattamento” si intende qualunque operazione concernente la raccolta, la consultazione, l'elaborazione, la comunicazione, la cancellazione di dati; per “dato personale”, qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili; per “consenso” quello richiesto ed espresso dagli interessati prima del trattamento di dati personali, specificamente riferito ad un trattamento chiaramente individuato, e manifestato in forma scritta quando il trattamento riguarda dati sensibili. In generale, il trattamento dei dati personali deve avvenire nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali, riducendo al minimo l'utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l'interessato solo in caso di necessità (principio di necessità nel trattamento dei dati). I dati personali oggetto di trattamento devono essere esatti, pertinenti, completi, e, se necessario, aggiornati; trattati in modo lecito e secondo correttezza; per scopi determinati ed espliciti; conservati per un periodo di tempo non superiore al necessario.
Con particolare riferimento agli istituti scolastici, è ammessa in genere la comunicazione ed anche la pubblicazione dei dati relativi agli esiti scolastici, intermedi e finali, degli studenti, ai quali si nega la natura di dati sensibili. A detto proposito, la stessa Autorità Garante per la privacy ha espresso il parere che "nessuna norma della legge sulla privacy vieta la comunicazione dei risultati degli scrutini, che, al contrario devono essere pubblicati, come esplicitamente previsto dalla normativa in materia". Il Ministero, a sua volta, ha avuto modo di chiarire che anche le valutazione relativa all’insegnamento della religione cattolica non sono da ritenere dati sensibili - sottratti dalla pubblicazione prevista per le altre materie agli albi delle scuole: da un lato, le operazioni di scrutinio presuppongono la valutazione da parte del competente consiglio di classe di tutte le materie previste dal programma d'insegnamento, mediante espressione di voti, compresa la disciplina religione cattolica, relativamente agli alunni che ne hanno richiesto l'insegnamento; dall’altro, la scelta di ricevere l'insegnamento della religione cattolica non denuncia di per sé l'intimo convincimento della fede abbracciata.
Nel dettaglio, la disciplina sulla pubblicazione all’albo delle scuole dell’esito degli esami e degli scrutini ha subito negli ultimi anni cambiamenti significativi, determinati dalla maggiore sensibilizzazione al tema della tutela della riservatezza.
Le norme sanciscono che in caso di esito negativo degli scrutini e degli esami, l’indicazione dei voti delle singole materie, e quindi anche dei voti non sufficienti, all’albo dell’Istituto, è sostituita con il riferimento al solo risultato finale negativo riportato: “non ammesso alla classe successiva”, “non qualificato”, ”non licenziato”. Inoltre, le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia di valutazione, definiscono idonee modalità di comunicazione preventiva alle famiglie dell’esito negativo degli scrutini e degli esami. Con riferimento all’esame di Stato, l'esito dell’esame con l’indicazione del punteggio finale conseguito, inclusa la menzione della lode qualora attribuita dalla Commissione, è pubblicato, per tutti i candidati, nell'albo dell'istituto sede della commissione, con la sola indicazione della dizione ESITO NEGATIVO nel caso di mancato superamento dell’esame stesso; il punteggio finale deve essere riportato, a cura della Commissione, sulla scheda di ciascun candidato e sui registri d'esame (OM 8.4.2009 n. 40).
La concreta attuazione della normativa a tutela dei dati personali da parte delle istituzioni scolastiche ha avuto una svolta con l’approvazione - nel dicembre 2006 – del Regolamento recante identificazione dei dati sensibili e giudiziari trattati e delle relative operazioni effettuate dal Ministero della pubblica istruzione, in attuazione del Codice privacy. In particolare, nelle schede allegate si identificano le tipologie di operazioni eseguibili sui dati sensibili, nei vari contesti dell’attività scolastica, e si individuano, per ogni ambito del complesso sistema d’istruzione, tipologie di trattamento e relativo contesto, indicando anche il flusso informativo dei dati; finalità di rilevante interesse pubblico perseguite; fonti normative; tipi di dati trattati; operazioni eseguite.

Domenico Barboni

Pubblicato su “il Sole 24 Ore Scuola”, 1 - 14 maggio 2009.

 

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