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Legislazione regionale

Commento giurisprudenziale

ALLE REGIONI L’ASSETTO DELLE SCUOLE D’INFANZIA
(Sancita la competenza delle istituzioni territoriali anche su didattica e organizzazione)

Le Regioni e le autonomie locali in genere ottengono un “round” favorevole nella storica contrapposizione tra la tendenza alla centralizzazione delle competenze e l’aspirazione a forme sempre più incisive di decentramento degli ordinamenti e/o federalismo organizzativo. Secondo la Corte Costituzionale, la revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia è riservata alla competenza delle Regioni, e non della Stato. La materia rientra infatti nell’ambito del dimensionamento della rete scolastica e del relativo adattamento alle esigenze socio-economiche di ciascun territorio comunale, che la Costituzione riconosce agli enti territoriali. Tale competenza si traduce nella concreta adozione di misure di benessere sociale, anche attraverso la predisposizione di adeguati servizi per l’infanzia, e passa attraverso valutazioni delle realtà locali che non possono che essere affidate agli Enti che rappresentano le medesime realtà.
Con riferimento alla diversa materia dell’istituzione e del funzionamento delle scuole statali del primo ciclo (le vecchie scuole elementari), come per tutti gli altri ordini di scuole, può essere ricondotta per il suo contenuto sostanziale nell’ambito delle norme generali sull’istruzione, legittimamente riservate alla competenze legislative esclusive dello Stato, il quale provvede a definire i criteri di qualità ed efficienza ai quali debbono rispondere l’istituzione e il funzionamento delle scuole statali anche del primo ciclo.
Così decide infatti la Corte con sentenza 21 marzo 2011 n. 92, accogliendo in parte i ricorsi promossi da alcune Regioni per conflitto di attribuzione tra enti nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, avente ad oggetto le norme in materia di revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, per lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni e contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione.
Alla luce della succitata pronuncia e del nuovo assetto organizzativo che ne consegue, sono prevedibili importanti impatti su numeri, organici e condizioni di funzionamento delle scuole dell’infanzia, già definiti a livello ministeriale. Si auspica che un apprezzamento affidato agli enti direttamente rappresentanti le comunità locali possa portare alla realizzazione di servizi per l’infanzia più rispondenti alle esigenze delle popolazioni residenti, e così – ad esempio - garantire strutture educative adeguatamente dimensionate anche nelle realtà territoriali minori o disagiate.
Motivazioni di diritto
Con distinti ricorsi la Regione Toscana e la Regione Piemonte hanno promosso conflitto di attribuzione tra enti nei confronti del Governo, in ordine alle norme (articolo 2, commi 4 e 6, e all’articolo 3, comma 1, del D.P.R. 20 marzo 2009, n. 89) in tema di revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione deducendo la lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni, in ragione della violazione dagli articoli 117 e 118 della Costituzione.
Le disposizioni citate invaderebbero l’ambito della programmazione scolastica e iniziative per ridurre il disagio degli utenti delle zone svantaggiate, di competenza regionale.
La Corte rileva che la istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni nelle scuole dell’infanzia già esistenti, attiene, in maniera diretta, al dimensionamento della rete scolastica sul territorio; attribuzione che già la propria precedente sentenza n. 200 del 2009 ha riconosciuto spettare al legislatore regionale, in quanto non riconducibile, all’ambito delle norme generali sull’istruzione. Ciò comporta che, con la disposizione censurata lo Stato ha invaso la competenza delle Regioni sul punto specifico di adattamento della rete scolastica alle esigenze socioeconomiche di ciascun territorio regionale, che ben possono e devono essere apprezzate in ciascuna Regione.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per quanto attiene la disposizione che si occupa delle sezioni della scuola dell’infanzia situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni. Le misure previste sono chiaramente volte ad eliminare o ridurre il disagio dell’utenza del servizio scolastico nei piccoli comuni, con una valutazione che non può prescindere dalle particolari condizioni in cui versano le comunità locali di ridotte dimensioni, perché insediate in territori montani o in piccole isole, prive di strutture educative per la prima infanzia. Si tratta, dunque, di misure specificamente volte a ridurre il disagio degli utenti del servizio scolastico. È, dunque, del tutto ovvio che spetta alle Regioni, nell’esercizio della loro competenza in tema di servizi sociali l’adozione di misure volte alla riduzione del disagio di tali particolari utenti del servizio scolastico.
Al contrario, quanto alla impugnazione delle norme relative al primo ciclo di istruzione, occorre rilevare che l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del primo ciclo devono rispondere a criteri di qualità ed efficienza del servizio stabiliti a livello nazionale.
La norma censurata può essere ricondotta all’attuazione di disposizioni che la Corte ha riconosciuto come ascrivibili alla materia delle norme generali sull’istruzione, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Ciò in quanto essa tende a dare attuazione a disposizioni, d’ordine generale, e come tali operanti in tutto il territorio nazionale, come norme generali sull’istruzione, in quanto il primo ciclo dell’istruzione per sua natura riveste un fondamentale rilievo nella formazione delle nuove generazioni di scolari al loro primo contatto con il mondo della scuola e concorre a delineare quel sistema nazionale dell’istruzione, il quale necessariamente deve essere caratterizzato da elementi di unitarietà ed uniformità su tutto il territorio nazionale.
Concludendo, la Corte dichiara che non spettava allo Stato disciplinare l’istituzione di nuove scuole dell’infanzia e di nuove sezioni della scuola dell’infanzia, nonché la composizione di queste ultime, e per l’effetto annulla la norma impugnata; e dichiara invece che spettava allo Stato stabilire i criteri ai quali devono rispondere l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del primo ciclo.

Anna Nardone
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 7 dell’ 1 - 14 aprile 2011

 

REGIONI COMPETENTI PER LA RETE SCOLASTICA

Spettano alle Regioni, e non ai Comuni, le competenze in materia di programmazione della rete scolastica e di sua dislocazione sul territorio. Così decide il TAR Campania, con decisione n.1521 del 28.8.2009, annullando gli atti comunali di dimensionamento scolastico nella parte in cui provvedevano a chiudere due, e ordinando al Comune di provvedere alla immediata riapertura di detti plessi. La decisione, peraltro, ricalca l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale in materia, da ultimo con sentenza n. 200 del 2.7.2009.
La vicenda
I ricorrenti – genitori o famigliari di alunni iscritti presso scuole del comune interessato – impugnavano le deliberazioni del Consiglio comunale aventi ad oggetto il dimensionamento scolastico, nella parte in cui tali atti provvedevano a chiudere due plessi scolastici, e a costituire nel territorio comunale due plessi in luogo dei quattro precedentemente esistenti. Avverso le deliberazioni citate i ricorrenti deducevano principalmente la violazione da parte del Comune delle competenze in materia di programmazione della rete scolastica e di sua dislocazione sul territorio, tanto che le predette deliberazioni si ponevano in contrasto con provvedimenti già assunti sul punto dalla Giunta della Regione, che non prevedevano alcuna modifica nel dimensionamento scolastico. Peraltro, i ricorrenti lamentavano l’inopportunità del provvedimento anche perché, mentre i plessi destinati alla chiusura si presentavano in buono stato di conservazione, quelli a cui sarebbero stati destinati gli alunni versavano in condizioni non idonee ad ospitare i bambini. Altri cittadini intervenivano successivamente nel procedimento innanzi al TAR, rappresentando un concreto rischio di peggioramento del traffico veicolare in caso di effettiva chiusura dei plessi scolastici oggetto dei provvedimenti comunali. La regione Campania si costitutiva in giudizio sostenendo le ragioni dei ricorrenti.
Il TAR adito ha ritenuto di accogliere le istanze dei cittadini ricorrenti, annullando gli atti del Comune impugnati.
Motivi della decisione
Il TAR Campania rileva che sono fondate e vanno accolte, con valore assorbente sul resto, le censure mosse dai ricorrenti che si riportano –in sintesi - alla carenza di potere in capo al Comune in materia di programmazione della rete scolastica sul territorio.
Tale materia risultava infatti affidata alle Regioni dall’art. 138 del d.lgs. 112\1998, in dichiarata attuazione dell'articolo 118, comma secondo, della Costituzione.
Come ha avuto modo di rilevare la Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 2004, nonchè, da ultimo, con la sentenza 2.7.2009 n. 200 “nel quadro costituzionale definito dalla riforma del titolo V Cost., la materia istruzione (salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale) forma oggetto di potestà concorrente (art. 117, comma 3, Cost.), mentre allo Stato è riservata soltanto la potestà legislativa esclusiva in materia di norme generali sull'istruzione, ai sensi dell'art. 117, comma 2 lett. n), Cost.; è indubbio, tuttavia, che nel complesso intreccio, in una stessa materia, di norme generali, principi fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche, rientri nell'ambito di legislazione regionale la programmazione delle rete scolastica, non potendosi ritenere che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le regioni di una funzione che era già ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall'art. 138, D.Lgs. n. 112 del 1998.”. In particolare la Consulta, nelle sentenze n. 13 del 2004 e n. 200 del 2009 ha precisato - per quanto qui interessa - che esiste una netta distinzione tra programmazione nazionale, spettante allo Stato, e programmazione regionale; quest’ultima, in particolare, risultava già delegata alle Regioni per effetto dell'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, ed oggi (dopo la riforma costituzionale del 2001) costituisce una competenza propria delle Regioni stesse per effetto dell'art. 117, terzo comma, Cost. Ha proseguito la Corte precisando che lo svolgimento attuativo dei principi generali in materia di istruzione (svolgimento che si differenzia dalle norme generali, di esclusiva competenza statale) “è necessario quando si tratta di disciplinare situazioni legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realtà territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico. In questa prospettiva viene in rilievo ... sia il settore della programmazione scolastica regionale sia quello inerente al dimensionamento sul territorio della rete scolastica”. Coerentemente, già nel sistema delineato dal d.lgs. n. 112 del 1998 ai Comuni erano attribuiti unicamente compiti e funzioni concernenti i gradi d’istruzione inferiori alla scuola secondaria superiore, tra cui non già la “programmazione”, bensì “l’istituzione, l’aggregazione la fusione e la soppressione di scuole”, che possono essere operate, tuttavia, soltanto “in attuazione degli strumenti di programmazione” che, come detto, rientrano a pieno titolo nelle competenze regionali.
E, nel caso in esame, come ampiamente evidenziato e documentato dai ricorrenti e dalla difesa regionale, la regione Campania aveva adottato gli atti di programmazione di propria competenza senza prevedere variazione alcuna nell’assetto scolastico del Comune interessato.
Il TAR conclude che da quanto deriva sopra la fondatezza delle censure solevate nella vicenda in esame, con il conseguente annullamento degli atti con i quali il Comune aveva riorganizzato la rete scolastica sul proprio territorio, nella parte in cui tali atti provvedevano a chiudere due plessi scolastici, nonchè a costituire nel territorio comunale due plessi scolastici in luogo dei quattro precedentemente esistenti.
La sentenza del TAR Campania è stata già definita storica, essendo una delle prime decisioni in Italia che riconosce la carenza di potere in capo all’amministrazione comunale in ordine alla disposta programmazione della rete scolastica sul proprio territorio.

Anna Nardone
Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 17 del 9-22 ott. 2009
 

 

LEGISLAZIONE REGIONALE IN MATERIA DI ISTRUZIONE

In ossequio a quanto disposto nel titolo V della Costituzione, la competenza legislativa regionale in materia di istruzione è legittimamente esercitata in coerenza e nel rispetto dei principi generali stabiliti dalla legge statale. La Corte costituzionale, in applicazione di tale assunto, ha da ultimo giudicato legittima la legge regionale n. 12/2003 dell’Emilia Romagna ritenendola conforme alla normativa dello Stato nei diversi profili attinenti ad istruzione, educazione e formazione professionale in essa disciplinati (Sentenza Corte Costituzionale n. 34/2005).
La vicenda
Il Governo ha proposto ricorso avverso la legge regionale dell’Emilia Romagna (L.R. n. 12 del 30 giugno 2003), denunciando l’invasione da parte del legislatore regionale di sfere di competenza dello Stato. In particolare, la difesa erariale ha censurato le disposizioni regionali ritenute contrarie a regole generali e principi fondamentali dello Stato in materia di istruzione e invasive di sfere riservate alla propria competenza esclusiva. La Corte Costituzionale con la citata sentenza ha respinto le censure sollevate dal Governo, escludendo che le disposizioni in questione abbiano esorbitato le competenze regionali in tema di istruzione, e rilevando, altresì, come con detta legge si sia data corretta applicazione della ratio del titolo V della Costituzione.
Le motivazioni
I giudici della Corte Costituzionale rispondono puntualmente alle denunce della Presidenza del Consiglio dei Ministri rilevando l’infondatezza di tutte le questioni sollevate con il ricorso richiamato.
Quanto alle censure mosse alla previsione regionale di assegni di studio a favore del personale scolastico, la Corte chiarisce che la norma non introduce una ulteriore fattispecie di aspettativa in contrasto con la disciplina statale – la quale continua a trovare applicazione nel rispetto di principî di eguaglianza e di buon andamento della pubblica amministrazione -; ma si propone la sola finalità di elevazione professionale del predetto personale, nel rispetto delle competenze generali dello Stato in materia di formazione iniziale dei docenti del sistema nazionale di istruzione e dei relativi titoli abilitanti, nonché delle materie riservate alla contrattazione.
In relazione alla eccezione relativa alla disciplina regionale dell’istituto dell'alternanza scuola-lavoro, i giudici della Corte evidenziano che la disposizione contestata, lungi dal contrastare o mettere in discussione quanto stabilito dalla legge statale - nella specie dalla legge delega n. 53/2003 - si limita a ripeterne sinteticamente il contenuto definitorio, senza porre principi o regole ulteriori.
La Corte giudica ugualmente infondate le censure concernenti le norme sulla finalità della scuola dell'infanzia e sull'educazione degli adulti in base a considerazioni analoghe a quelle svolte supra. Nel contesto descritto dalla legge dello Stato (di nuovo, la l. n. 53/2003) – che delinea il percorso formativo della scuola dell'infanzia, la sua durata, le finalità di educazione e sviluppo - la disposizione denunciata non fa altro che modularsi su quanto da essa disciplinato.
Quanto alla doglianza che investe la disposizione regionale sull’educazione degli adulti, i giudici osservano che la disposizione impugnata si innesta nel quadro individuato dalla legge delega del 2003, in linea con le finalità da esso previste ed altresì con quelle prefigurate in ambito comunitario sugli obiettivi futuri e concreti dei sistemi di istruzione e di formazione, dove si evidenzia, tra l'altro, la necessità di un «apprendimento lungo tutto l'arco della vita attraverso i tradizionali percorsi di istruzione e formazione o nel quadro dell'apprendimento basato sul lavoro».
Con riferimento al rilievo costituzionale mosso alla disposizione che introduce nel sistema formativo norme in materia di integrazione tra i sistemi dell'istruzione e formazione professionale, la Corte ritiene che sia da escludere che il significato della norma regionale sia quello di inibire o rendere più difficile il passaggio tra i sistemi di istruzione e formazione professionale agli studenti che provengono da percorsi non integrati: il senso da ascriversi alla norma è soltanto quello di individuare, come preferibile, proprio l'istituto dell'integrazione dei sistemi, senza perciò eliminare altre forme legali di riconoscimento e, specialmente, di crediti.
Infondata è valutata dai giudici della Corte Costituzionale anche l'ultima censura mossa dall’organo statale, che investe la previsione del potere regionale di approvare i «criteri per la definizione dell'organizzazione della rete scolastica, ivi compresi i parametri dimensionali delle istituzioni scolastiche». A tale ultimo proposito, la Corte richiama una propria precedente sentenza (n. 13/2004), nella quale si evidenziava che la normativa antecedente alla riforma del Titolo V già prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, di tal ché è da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 «abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita» (così ancora la sentenza n. 13 del 2004). La Corte Costituzionale decide quindi che la disposizione denunciata sia da ascriversi all'esercizio della competenza legislativa concorrente della Regione in materia di istruzione, riguardando in particolare il settore della programmazione scolastica.
Alla luce di tutte le esposte argomentazioni, i giudici costituzionali concludono che le disposizioni della legge regionale n. 12/2003 approvata dall’Emilia Romagna non contrastano con quanto stabilito dalla legge statale sotto i diversi profili denunciati, ma si muovono in un ambito riconducibile a quello affidato alla competenza regionale in materia di istruzione e formazione professionale. Per effetto di tale decisione, la legge regionale viene giudicata conforme alla Costituzione, e in particolare alle previsioni di cui al titolo V.

Anna Nardone
Pubblicato su “il Sole 24 Ore Scuola”, 22 aprile 2005.

 

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