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Alunni

Allievo DSA. Esami di Stato.

IL TAR DI MILANO AMMETTE CON RISERVA UNO STUDENTE DSA AGLI ESAMI DI MATURITÀ
(Tar Milano, Sezione III, decreto n. 768/2017)

A seguito di ricorso presentato da questo studio legale, il Presidente della III sezione del TAR per la Lombardia di Milano, con decreto provvisorio e urgente, ha ammesso con riserva uno studente affetto da DSA (Disturbi specifici di apprendimento) a sostenere gli esami di Stato conclusivi del ciclo di istruzione secondaria superiore di secondo grado.
Nella fattispecie allo studente, presentatosi come candidato esterno (c.d. privatista), non sono stati garantiti durante gli esami preliminari gli strumenti compensativi e dispensativi previsti dalla normativa (Legge n. 170/2010 e successive linee guida) ed evidenziati nella relazione medica consegnata all’istituto.
In particolare l’allievo necessitava di maggiore tempo a disposizione per effettuare le prove e di strumenti elettronici che alleviassero le difficoltà nella scrittura e nel calcolo.
Nell’ammettere il ricorrente all’esame di Stato, il TAR ha imposto alla Commissione giudicatrice di adottare tutte le misure necessarie al corretto svolgimento delle prove, nel pieno rispetto della normativa DSA e delle specifiche esigenze dell’allievo.
Milano, 30 giugno 2017
Marco Granito

Commento giurisprudenziale

SE IL VOTO E’ MENO DI “6” LA BOCCIATURA E’ LEGITTIMA
(Lo studente lamentava che non si era tenuto conto dei miglioramenti durante l’anno)

Il giudizio di non ammissione alla classe superiore deve essere necessariamente disposto quando l’alunno non consegua votazioni di piena sufficienza in tutte le materie. Interpretazioni di favore che valorizzino la media delle votazioni conseguite nelle diverse materie, le ragioni che hanno determinato il conseguimento delle insufficienze, il complessivo andamento nel ciclo di studi o l’impegno profuso durante l’anno scolastico possono essere valutati dal Consiglio di Classe nel corso dello scrutinio finale, ma debbono comunque tradursi, per avere rilevanza ai fini dell’ammissione alla classe successiva, nell’attribuzione di un voto non inferiore alla sufficienza in ciascuna materia. E’ quanto ha deciso il TAR Lombardia, Milano, con sentenza 2330/2011, ritenendo di non discostarsi dal proprio precedente orientamento in materia (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. III, 5.8.2010 n. 3585; TAR Lombardia Milano, sez. III, 5.8.2010, n. 3583).
La vicenda
Nel ricorso in oggetto veniva impugnata la non ammissione di un alunno di scuola secondaria di primo grado alla classe successiva.
Il ricorrente lamentava che la media delle votazioni conseguite in tutte le materie di studio dall’allievo era comunque non lontana dalla sufficienza; che nel corso dell’anno aveva avuto dei miglioramenti di cui i docenti non avevano tenuto conto. Lamentava disfunzioni nell’organizzazione scolastica (tardiva comunicazione scuola-famiglia; mancata attivazione di iniziative di recupero, etc. )che avrebbero penalizzato l’alunno.
Il giudice amministrativo rigetta le doglianze del ricorrente e conferma la legittimità della non promozione, immune da vizi di manifesta illogicità, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.
Motivi della decisione
Secondo le norme vigenti, nella scuola secondaria di primo grado sono ammessi alla classe successiva gli studenti che hanno ottenuto, con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe, un voto non inferiore a sei in ciascuna disciplina.
Da questa norma si ricava che il giudizio di non ammissione alla classe superiore deve essere necessariamente disposto quando l’alunno non consegua votazioni di piena sufficienza in tutte le materie (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. III, 5 agosto 2010 n. 3585): non sono dunque ammissibili interpretazioni di favore che valorizzino la media delle votazioni conseguite nelle diverse materie, le ragioni che hanno determinato il conseguimento delle insufficienze, il complessivo andamento nel ciclo di studi o l’impegno profuso durante l’anno scolastico; aspetti questi che possono essere valutati dal Consiglio di Classe nel corso dello scrutinio finale, ma che debbono tradursi, per avere rilevanza ai fini dell’ammissione alla classe successiva, nell’attribuzione di un voto non inferiore alla sufficienza in ciascuna materia.
Per costante giurisprudenza, dalla quale il Collegio non ha alcun motivo per discostarsi, i giudizi espressi dal Consiglio di Classe sono connotati da discrezionalità tecnica. Difatti, il livello di apprendimento e preparazione raggiunto dai singoli alunni costituisce espressione di una valutazione riservata dalla legge al suddetto organo collegiale, il cui giudizio riflette specifiche competenze tecniche solo da esso possedute; pertanto al giudice della legittimità spetta solo di verificare se il procedimento, a conclusione del quale tale giudizio è stato formulato, sia conforme al parametro normativo ovvero ai criteri deliberati previamente dall’organo stesso e non risulti inficiato da vizi di manifesta illogicità, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. III, 21 settembre 2009 n. 4694).
Si è altresì affermato che la valutazione di legittimità del giudizio di non ammissione alla classe superiore deve essere condotta avendo esclusivo riguardo agli elementi che denotano, alla conclusione dell’anno scolastico, la presenza o meno di un sufficiente livello di preparazione e di maturità dell’alunno, senza che su di essa possa incidere il livello della comunicazione scuola-famiglia intervenuta nel corso del medesimo anno scolastico (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 05 agosto 2010, n. 3583).
Per le stesse ragioni, ai fini in discorso, nessun rilievo può rivestire la mancata attivazione di specifici interventi di recupero scolastico. Le eventuali disfunzioni organizzative verificatesi nel corso dell’anno scolastico non sono di per sé sufficienti ad inficiare il giudizio di non ammissione di un alunno alla classe superiore il quale, come anticipato, si basa esclusivamente sulla constatazione sia dell’insufficiente preparazione dello studente, sia dell’incompleta maturazione personale, ritenute necessarie per accedere alla successiva fase di studi (cfr. Consiglio Stato , sez. VI, 17 gennaio 2011, n. 236).
A suffragio delle tesi della ricorrente non è neppure decisivo il richiamo alla media dei voti riportati dall’allievo in tutte le materie, Infatti, la norma sopra illustrata afferma che anche una sola insufficienza è decisiva ai fini del giudizio negativo; pertanto solo eccezionalmente al ricorrere di particolari circostanze, il Consiglio di classe può discrezionalmente decidere di far transitare al livello di studi superiore l’alunno che, pur non avendo conseguito la sufficienza in tutte le materie, ha una media complessiva delle votazioni riportate durante l’anno scolastico sufficiente ovvero non lontana dalla sufficienza; fermo restando che, come anticipato, tale decisione deve tradursi nell’attribuzioni di votazioni sufficienti in tutte le materie in sede di scrutinio finale.
Nel caso concreto, le insufficienze riportate dall’alunno erano davvero numerose; sicché non appare illogica la decisione dell’organo scolastico di non avvalersi della suindicata previsione derogatoria - che gli avrebbe consentito di assegnare collegialmente una votazione sufficiente anche in quella/e discipline in cui none erano raggiunti adeguati livelli di apprendimento. Correttamente, perciò, il Consiglio di classe disponeva la non ammissione dell’alunno alla classe successiva.

Anna Nardone

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 20 del 25 novembre – 8 dicembre 2011

 

Commento giurisprudenziale

IL GIUDIZIO FAVOREVOLE CANCELLA LA BOCCIATURA
(Il ragazzo ammesso con riserva alla classe successiva se ottiene la promozione supera il precedente sbarramento che era stato contestato)

La promozione conseguita dall’alunno ammesso alla classe successiva con riserva da parte del giudice amministrativo (in sede cautelare) supera il giudizio negativo in precedenza espresso dal consiglio di classe, presupponendo la promozione alla classe superiore una valutazione positiva dell’allievo che si fonda su di un programma più ampio di quello svolto nella classe inferiore. Conseguentemente, il giudizio favorevole assorbe gli effetti Della precedente bocciatura, e diviene inattaccabile da parte della sentenza conclusiva del ricorso che eventualmente confermasse la legittimità del giudizio negativo oggetto di iniziale impugnativa - ricorso che diviene pertanto non più procedibile per sopravvenuto difetto di interesse. Così decide il Tar Emilia Romagna, Parma con sentenza n. 266 del 26 luglio 2011, che conferma una giurisprudenza consolidata in tema di principio c.d. dell’assorbimento (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2005 n. 438; Sez. VI, 5 marzo 2002 n. 1312).
E’ interessante osservare che il Tar, nella specie, ha dichiarato la “soccombenza virtuale” dell’Amministrazione scolastica, ponendo a suo carico le spese di lite.
La vicenda
I genitori di un alunno bocciato a fine anno proponevano impugnativa contro le relative determinazioni del consiglio di classe al fine di vedere conseguita la promozione in favore del figlio. L’istanza cautelare dei ricorrenti veniva accolta dal Tar attraverso l’ammissione dell’alunno, con riserva, alla classe successiva. Nelle more processuali, al termine del successivo anno scolastico, l’alunno veniva promosso.
Il giudice conclude il giudizio con sentenza che sostanzialmente da atto della piena soddisfazione delle pretese dei ricorrenti per aver ottenuto – in virtù all’ammissione cautelare del figlio alla classe successiva, e della sua promozione a fine anno ad una classe superiore – un provvedimento nuovo, che supera per effetti quello impugnato.
Motivi della decisione
Il collegio valuta decisiva, ai fini della risoluzione della lite, la circostanza che l’alunno in questione è stato medio tempore ammesso ad una classe superiore del corso di studi, alla fine dell’anno scolastico frequentato per ordine cautelare dello stesso Tar.
Come è stato ripetutamente affermato in giurisprudenza, la promozione conseguita dall’alunno ammesso alla classe successiva con riserva da parte del giudice amministrativo (in sede cautelare) assorbe il giudizio negativo in precedenza espresso dal consiglio di classe e determina di conseguenza l’improcedibilità del ricorso avverso l’originario diniego di ammissione, presupponendo la promozione alla classe superiore una
valutazione positiva dell’allievo che si fonda su di un programma più ampio di quello svolto nella classe inferiore, onde il giudizio favorevole integra una circostanza esterna e sopravvenuta, capace di assorbire gli effetti di quella precedente (non ammissione), perché soddisfa l’interesse sostanziale fatto valere nel giudizio (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2005 n. 438; Sez. VI, 5 marzo 2002 n. 1312).
Di qui la declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse.
La decisione applica il principio c.d. dell’assorbimento, elaborato dalla giurisprudenza con specifico riferimento all’esame di maturità. Secondo detto principio, il superamento degli esami di maturità che lo studente abbia sostenuto a seguito di ammissione con riserva da parte del Giudice amministrativo, assorbe il giudizio negativo di ammissione espresso dal Consiglio di classe e determina il venir meno dell’interesse del ricorrente all'ulteriore prosecuzione del giudizio relativo alla legittimità del provvedimento di non ammissione, assorbito e superato dal successivo provvedimento di superamento dell’esame. “Il giudizio positivo di maturità […] costituisce in definitiva un effetto preclusivo analogo a quello determinato da fatti sopravvenuti satisfattori o impeditivi processualmente della coltivazione dell'interesse sostanziale” (cfr. tra molti Cons. Stato, 31.3.2009 n. 1892). La stessa Corte Costituzionale ha ribadito – pur con specifico riferimento alla norma che ha recepito l’identico principio estendendolo agli esami di abilitazione professionale: “La disposizione impugnata ha lo scopo di evitare che il superamento delle prove di un esame di abilitazione venga reso inutile dalle vicende processuali successive al provvedimento, con il quale un giudice o la stessa amministrazione abbiano disposto l'ammissione alle prove di esame o la ripetizione della valutazione. Per raggiungere questo scopo, la disposizione rende irreversibili – secondo la giurisprudenza amministrativa – gli effetti del superamento delle prove scritte e orali previste dal bando. Essa, quindi, rende irreversibili anche gli effetti dei provvedimenti giurisdizionali (pure di natura cautelare) o di autotutela amministrativa che abbiano disposto l'ammissione alle prove stesse, precludendo l'ulteriore prosecuzione del processo eventualmente avviato. (…) Presupposto per l'applicazione della disposizione impugnata è che, a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di iniziativa della stessa amministrazione, vi sia stato un nuovo accertamento dell'idoneità del candidato, con la ripetizione delle prove o con una nuova valutazione di esse. È questo accertamento amministrativo, e non il provvedimento del giudice, a produrre l'effetto di conseguimento dell'abilitazione, che la disposizione rende irreversibile. Il legislatore ha ritenuto che, una volta operato il nuovo accertamento, la prosecuzione del processo, avviato per contestare l'esito del precedente accertamento, fosse superflua e potesse andare a detrimento dell'affidamento del privato e della certezza dei rapporti giuridici. Ciò spiega perché la disposizione possa trovare applicazione anche quando il nuovo accertamento è stato operato a seguito di un provvedimento cautelare del giudice” (Corte costituzionale, sent. n. 9.4.2009 n. 108).

Anna Nardone

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 16 del 30 settembre - 13 ottobre 2011

 

OBBLIGO ASSOLTO ANCHE IN CASA

(La scelta dell’istruzione parentale garantita dalla Costituzione)

L’obbligo di iscrizione e di frequenza della scuola primaria, della scuola secondaria di primo grado, e dei primi due anni degli istituti d’istruzione secondaria di secondo grado o dei percorsi di istruzione e formazione professionale, può essere assolto non solo nelle scuole statali e paritarie, ma anche attraverso l’istruzione familiare, in ossequio al principio costituzionale di libertà d’istruzione (cfr. art. 33 Cost.).

Si tratta una forma di istruzione alternativa a quella pubblica e paritaria, regolamentata da disposizioni normativi (v. d.lgs. 2005 76/2005; CM 101/2010; nota 781/2011).

Coloro che intendano provvedere in proprio alla istruzione dei minori soggetti all’obbligo devono rilasciare, al dirigente della scuola del territorio di residenza, apposita dichiarazione – da rinnovare anno per anno - di possedere “la capacità tecnica ed economica” per provvedervi. Il dirigente medesimo ha l’onere di accertare la fondatezza di tale dichiarazione.

In base alle disposizioni vigenti, l’istruzione parentale costituisca modalità di assolvimento dell’obbligo di istruzione alternativa alla frequenza dei primi due anni degli istituti d’istruzione secondaria di secondo grado o alla frequenza dei percorsi di istruzione e formazione professionale finalizzati al conseguimento di una qualifica. Com’è noto, per effetto della norma che ha disposto l’innalzamento dell’obbligo di istruzione, gli studenti che concludono con esito positivo il percorso del primo ciclo, devono iscriversi alla classe prima di un istituto secondario di secondo grado; l’obbligo di istruzione può essere assolto anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale.

Infatti, una interpretazione logico sistematica della normativa porta a concludere che l’educazione parentale si riferisca a tutta la fascia dell’obbligo di istruzione e deve tendere, come le altre modalità di adempimento dell’obbligo, al conseguimento del titolo di studio conclusivo del primo ciclo e all’acquisizione dei saperi e delle competenze relativi ai primi due anni di istruzione secondaria superiore.

Mentre coloro che frequentano una scuola non statale e non paritaria hanno l’obbligo di sottoporsi ad esame di idoneità nel caso in cui intendano iscriversi a scuole statali o paritarie, nonché, in ogni caso, al termine della scuola primaria per il passaggio alla scuola secondaria di primo grado, coloro che si avvalgono dell’istruzione parentale, a garanzia dell’assolvimento del dovere all’istruzione, sono tenuti a sostenere, ogni anno, l’esame di idoneità. Inoltre, tutti gli obbligati sono tenuti a sostenere l’esame di Stato a conclusione del primo ciclo di istruzione.

Il rischio di mancato assolvimento dell’obbligo di istruzione a partire dalla scuola del primo ciclo è oggi motivo di particolare preoccupazione in dipendenza dei nuovi fenomeni emergenti legati ai processi di immigrazione, allo sfruttamento del lavoro minorile e alle nuove povertà. Ciò rende necessaria una vigilanza attenta e continua sulla condizione giovanile, anche con riguardo al corretto svolgimento dell’istruzione familiare e alla effettiva frequenza di scuole non statali e non paritarie.

In particolare, gli Uffici scolastici regionali - in sinergia con le Regioni e gli Enti locali - adottano le misure necessarie per la prevenzione e il contrasto della dispersione scolastica, ponendo attenzione soprattutto ai territori maggiormente a rischio ed alle fasce di utenza che presentano maggiori criticità.

I dirigenti scolastici, in particolare degli istituti di istruzione secondaria di primo grado, effettuano le necessarie verifiche, rilevano i casi e le ragioni di inosservanza, attivano tutte le iniziative e le misure che dovessero rendersi necessarie, ivi comprese le segnalazioni alle autorità competenti.

Lo sviluppo e la messa a punto dell’anagrafe nazionale degli studenti, di cui al decreto ministeriale n. 74 del 5 agosto 2010, costituiscono una base importante per una rinnovata azione di monitoraggio e controllo dell’obbligo di istruzione, anche per quanto si riferisce al primo ciclo.

 Domenico Barboni

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 10 del 13 - 26 maggio 2011

 

DIRITTO AL SUCCESSO SCOLASTICO

(Solo di recente la normativa per favorire chi è effetto da dislessia)

Solo di recente ll legislatore ha ricociuto al diritto all’istruzione degli alunni affetti da disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) una speciale disciplina garantistica (l.170/2010), finalizzata a favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto; assicurare una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialità; ridurre i disagi relazionali ed emozionali; adottare forme di verifica e di valutazione adeguate; preparare gli insegnanti e sensibilizzare i genitori;  favorire la diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi; incrementare la comunicazione e la collaborazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari; assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito sociale e professionale.

Anche in questo caso, il presupposto per l’attuazione degli interventi di tutela è la diagnosi dei DSA (dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia), effettuata dagli specialisti del Servizio sanitario nazionale ed è comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dello studente.

Le Istituzioni scolastiche provvedono ad attuare i necessari interventi pedagogico-didattici per il successo formativo degli studenti con DSA, attivando percorsi di didattica individualizzata e personalizzata – anche attraverso un Piano Didattico Personalizzato -, e ricorrendo a strumenti compensativi e misure dispensative.

I percorsi didattici individualizzati e personalizzati si prefiggono obiettivi compresi comunque all’interno delle indicazioni curricolari nazionali, sulla base del livello e delle modalità di apprendimento dell’alunno, adottando proposte di insegnamento che tengano conto delle abilità possedute  e potenzino le funzioni non coinvolte nel disturbo.

Le scuole assicurano l’impiego degli opportuni strumenti compensativi – escluso per ora il ricorso a docenti di sostegno - finalizzato ad evitare situazioni di affaticamento e di disagio, senza peraltro ridurre il livello degli obiettivi di apprendimento previsti nei percorsi didattici individualizzati e personalizzati.

La valutazione scolastica, periodica e finale, degli alunni con DSA deve essere coerente con gli interventi pedagogico-didattici attivati. Le Istituzioni scolastiche adottano modalità valutative che consentono allo studente di dimostrare effettivamente il livello di apprendimento raggiunto, mediante l’applicazione di misure che determinino le condizioni ottimali per l’espletamento della prestazione da valutare - relativamente ai tempi di effettuazione e alle modalità di strutturazione delle prove - riservando particolare attenzione alla padronanza dei contenuti disciplinari, a prescindere dalle forme.

Le Commissioni degli esami di Stato – tenendo conto delle specifiche situazioni soggettive, delle modalità didattiche e delle forme di valutazione adottate, sulla base del disturbo specifico - possono riservare ai candidati tempi più lunghi di quelli ordinari. Le medesime Commissioni assicurano, altresì, l’utilizzazione di idonei strumenti compensativi e adottano criteri valutativi attenti soprattutto ai contenuti piuttosto che alla forma, sia nelle prove scritte, sia in fase di colloquio. Si possono poi dispensare alunni e studenti dalle prestazioni scritte in lingua straniera in corso d’anno scolastico e in sede di esami di Stato, nel caso di certificazione di DSA attestante la gravità del disturbo e recante esplicita richiesta di dispensa dalle prove scritte.

I candidati con disturbi dell’apprendimento che superano l’esame di Stato conseguono il titolo legalmente  valido per l’iscrizione alla scuola secondaria di secondo grado ovvero all’università. Solo in casi di particolari gravità del disturbo di apprendimento, l’alunno che abbia seguito un percorso didattico differenziato e sia stato valutato dal consiglio di classe con l’attribuzione di voti e di un credito scolastico relativi unicamente allo svolgimento di tale piano, possono sostenere prove d’esame di Stato differenziate, coerenti con il percorso svolto, finalizzate solo al rilascio di una attestazione.

Domenico Barboni

(Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 17 del 14 - 27 ottobre 2011)

 

Commento giurisprudenziale

BOCCIATURA ILLEGITTIMA SE MANCA UN DOCENTE
(Il Tar dà ragione al ricorrente perché nel consiglio di classe risultavano assenti due prof di materie oggetto dello scrutinio)

E’ illegittima la non promozione di uno studente se nella riunione del consiglio di classe per lo scrutinio finale era assente un professore, perchè la valutazione periodica e finale degli alunni è di competenza del consiglio di classe nella sua interezza. Così ha deciso il Tar per il Lazio, Sezione Terza Bis, nella sentenza 25 agosto 2010, n. 31634.
La vicenda
Uno studente impugnava il provvedimento di non ammissione alla classe successiva perché nella seduta del consiglio di classe in cui era stato adottato il provvedimento non erano presenti due professori di materie oggetto di scrutinio, come tali effettivi componenti del consiglio stesso. Il Tar ha accolto le ragioni dello studente annullando il provvedimento impugnato sulla base di un vizio nella composizione dell’organo collegiale.
Motivi della decisione
Si premette che, secondo le norme vigenti, il consiglio di classe è costituito da tutti i docenti della classe, e presieduto dal dirigente scolastico. Nell'attività valutativa deve deliberare con la partecipazione di tutti i suoi componenti, essendo richiesto il quorum integrale nei collegi con funzioni giudicatrici. In caso di disaccordo le decisioni devono essere adottate a maggioranza mediante votazione su proposte, senza che sia ammessa l'astensione; pertanto tutti i docenti devono votare e il totale dei voti deve coincidere con il totale dei componenti il consiglio. La natura del collegio in oggetto ha riflessi sull'eventuale sciopero degli scrutini: l'assenza di un solo componente rende impossibile lo svolgimento dello scrutinio. Anche il dirigente scolastico che presiede, essendo a tutti gli effetti un membro del Consiglio, è tenuto a votare. In caso di parità egli non vota due volte, ma prevale la proposta a cui ha dato il suo voto. I docenti di sostegno sono membri del consiglio di classe e nello scrutinio esprimono la loro valutazione per tutti gli alunni per l'ammissione alla classe successiva o all'esame, e per il voto di comportamento di tutti. Fanno parte del consiglio di classe, con pieno titolo a partecipare allo scrutinio, tutti i docenti che operano nella classe, ivi compresi i docenti di sostegno e i docenti di religione. Questi ultimi non esprimono un voto, ma “una speciale nota” riguardante l’interesse e il profitto relativo a detto insegnamento, e nelle deliberazioni a maggioranza, il voto, se determinante, diviene un giudizio motivato da iscriversi a verbale. I docenti di sostegno si esprimono per tutti gli allievi della classe, oltre che per quelli con disabilità. Per l’allievo disabile seguito da più insegnanti di sostegno, questi esprimeranno un unico voto. La valutazione degli apprendimenti e del comportamento in sede di scrutino finale è espressa con voto numerico in decimi. I voti numerici sono riportati anche in lettere nei documenti di valutazione degli allievi. Il voto numerico del comportamento deve essere anche illustrato con specifica nota. Per l’ammissione alla classe successiva gli allievi devono conseguire la sufficienza in ciascuna disciplina e nel comportamento.
Ciò premesso, nella specie, il TAR Lazio ritiene fondato il motivo di ricorso secondo cui nella seduta del consiglio di classe in cui è stato adottato il provvedimento di non promozione non erano presenti due professori. Secondo la vigente normativa sugli organi collegiali della scuola, il docente ha la competenza per la valutazione – nel corso dell’anno - degli apprendimenti dell'alunno in riferimento alla propria materia, mentre l'organo collegiale competente per la valutazione periodica e finale dell'attività didattica e degli apprendimenti dell'alunno è il consiglio di classe con la presenza della sola componente docente nella sua interezza.
Dispongono in proposito gli articoli 5, comma 7, e 193, comma 1, del D.Lgs.16.04.1994, n. 297, che (art. 5 c.7) negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, le competenze relative alla valutazione periodica e finale degli alunni spettano al consiglio di classe con la sola presenza dei docenti, e che (art. 193 c.1) i voti di profitto e di condotta degli alunni, ai fini della promozione alle classi successive alla prima, sono deliberati dal consiglio di classe al termine delle lezioni, con la sola presenza dei docenti. Il consiglio di classe, costituito da tutti i docenti della classe, è presieduto dal dirigente scolastico. Nell'attività valutativa opera come un collegio perfetto e come tale deve operare con la partecipazione di tutti i suoi componenti, essendo richiesto il quorum integrale nei collegi con funzioni giudicatrici. Nel caso in cui un docente sia impedito a partecipare per motivi giustificati il Dirigente scolastico deve affidare l'incarico di sostituirlo ad un altro docente della stessa materia in servizio presso la stessa scuola. Il dirigente scolastico può delegare la presidenza del consiglio ad un docente che faccia parte dello stesso organo collegiale. La delega a presiedere il consiglio deve risultare da provvedimento scritto (è sufficiente l'indicazione anche nell'atto di convocazione dell'organo) e deve essere inserita a verbale.
Osserva il TAR che nell'impugnato provvedimento di non ammissione alla classe successiva compaiono, oltre al "giudizio espresso all'unanimità dal consiglio di classe", anche i voti finali riportati nelle singole materie, tra le quali sono indicate tutte le materie con le relative votazioni finali. Per tutte, quindi, risulta attribuito il rispettivo voto finale, ma, per due di esse, senza che il corrispondente docente sia stato presente alla seduta. Nè risulta la sostituzione dei due professori assenti, e la conseguente delega ad altro docente della potestà di esprimere i relativi giudizi.
Tali materie sono state inserite nel giudizio finale con le rispettive votazioni, ed oltretutto hanno concorso a determinare fatto media: dunque la presenza dei rispettivi docenti, membri a pieno titolo del consiglio di classe - collegio perfetto, era necessaria ai fini della legittimità dell’operato del consiglio stesso. Tanto basta, secondo il giudice amministrativo, per ritenere viziato il provvedimento impugnato, che deve conseguentemente essere annullato ed il ricorso accolto.

Anna Nardone
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 4 del 18 febbraio - 3 marzo 2011

 

HANDICAP, CONTROLLI SERRATI
(Aumentate le verifiche sulla effettiva sussistenza di condizioni di disabilità)

Un recente intervento normativo ha incrementato i controlli sulla sussistenze delle condizioni di invalidità e handicap del personale della scuola ai fini della fruizione dei benefici in campo lavorativo, quali la precedenza nell'assegnazione di sede, il diritto alla scelta, ove possibile, della sede più vicina al proprio domicilio, il diritto ad usufruire di permessi speciali.
Coordinare esigenze famigliari e lavorative è infatti impresa ancor più ardua per i lavoratori che assistono familiari disabili e per gli stessi lavoratori disabili, tale da richiedere trattamenti speciali e di favore (cfr. legge 104/1992 e successive modifiche e integrazioni).
In particolare, la legge prevede che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile hanno diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina domicilio del persona da assistere (non più del lavoratore). Le condizioni per accedere a questo beneficio sono legate, per i familiari, all'assistenza continuativa ed esclusiva del congiunto con disabilità, senza però che sia richiesto il requisito della convivenza; nonché alla sussistenza di una situazione di handicap con connotazione di gravità.
Le norme stabiliscono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile non possono essere trasferiti senza il loro consenso ad altra sede. Già la normativa prevede in generale che il lavoratore non possa essere trasferito da un'unità produttiva all'altra senza comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive; la legge 104/1992 aggiunge l’ulteriore requisito di legittimità del consenso al trasferimento da parte dell'interessato che si trovi nelle richiamate condizioni di disabilità e di assistenza.
Come noto, la legge si occupa anche di definire la persona handicappata come colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. L'handicap è valutato da una commissione operante presso ogni azienda sanitaria territoriale. La commissione è composta da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. Dal 2010 la commissione è integrata da un medico INPS quale componente effettivo.
Per effetto del regolamento approvato con decreto ministeriale del 30 luglio 2010, n. 165, sono stati previsti ulteriori accertamenti sulla sussistenza delle condizioni di invalidità ed handicap. Nel dettaglio, si è stabilito che gli uffici scolastici territoriali, in presenza di motivate ragioni richiedono ulteriori accertamenti sulla sussistenza delle condizioni personali o familiari che danno diritto alla fruizione dei benefici. I predetti accertamenti sono svolti da una azienda sanitaria diversa da quella che ha esaminato la documentazione. Inoltre, gli uffici scolastici, indipendentemente dalla sussistenza di particolari circostanze, possono richiedere accertamenti con metodo a campione. A tal fine, gli uffici interessati determinano preventivamente i criteri di individuazione dei soggetti per i quali si procede alla richiesta di accertamento. La previa determinazione dei criteri è effettuata, di regola, in occasione dell'aggiornamento delle graduatorie e, relativamente ai dirigenti scolastici, in occasione della determinazione del calendario delle operazione di immissione in ruolo. Ai fini indicati, la valutazione della situazione sanitaria del dipendente che richiede la fruizione dei benefici è effettuata dall'azienda sanitaria competente per l'area territoriale nella quale hanno sede l'autorità scolastica o l'ufficio scolastico regionale richiedente. Qualora i benefici siano richiesti per le condizioni di handicap di un familiare, l'ufficio scolastico dispone l'ulteriore accertamento delle condizioni sanitarie del familiare medesimo presso un'azienda sanitaria, territorialmente competente, avuto riguardo alla residenza di questo ultimo. Qualora il familiare risieda nell'area territoriale dell'azienda che ha rilasciato la certificazione originaria, l'accertamento è effettuato da altra azienda sanitaria, ove possibile nell'ambito della stessa regione.
La richiesta di accertamento della sussistenza delle condizioni di invalidità e di handicap e' trasmessa contestualmente alla direzione provinciale dell'INPS competente per il territorio di riferimento delle aziende sanitarie individuate, al richiedente i benefici e al familiare di questi, quando siano le condizioni del familiare a legittimare la fruizione dei benefici.
Restano escluse dagli accertamenti in oggetto le patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato, elencate nel DM 2.8.2007.
Nel caso in cui sia comprovata l’insussistenza delle condizioni che danno diritto ad usufruire dei benefici, si procede alla sospensione e alla revoca di ogni trattamento di favore, salve eventuali responsabilità disciplinari ovvero anche penali.

Domenico Barboni

(Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 22 del 24 dicembre 2010 - 6 gennaio 2011)

 

SANZIONI, SI’ AL CONFRONTO
(Analisi delle regole disciplinari contenute nello Statuto degli studenti)

Lo statuto delle studentesse e degli studenti – emanato con DPR 249/1998, nell’ambito del processo di acquisizione dell’autonomia e rinnovamento degli istituti scolastici – contiene norme e principi sui diritti e i doveri degli studenti della scuola secondaria, sulla disciplina e sulle relazioni tra studenti, tra questi e le altre componenti scolastiche, e (con disposizioni introdotte di recente) tra scuola e famiglie.
Lo statuto si compone di sei articoli aventi ad oggetto la vita della comunità scolastica delle scuole secondarie di primo e secondo grado; i diritti e i doveri degli studenti; la disciplina; le impugnazioni; il patto educativo di corresponsabilità; le modalità di applicazione dello statuto stesso. In particolare, con DPR 235/2007 sono state apportate importanti modifiche e integrazioni in tema di disciplina; di impugnazioni; di patto educativo.
L’articolo 1 - vita della comunità scolastica - definisce la scuola come luogo di formazione e di educazione, informato ai valori democratici e volto alla crescita della persona, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, e con i princìpi generali dell'ordinamento italiano. Fonda la vita della comunità scolastica sulla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, sul rispetto reciproco, a prescindere da età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale. La norma individua nelle relazioni insegnante-studente lo stimolo allo sviluppo della personalità dei giovani.
L’articolo 2 – diritti – individua le prerogative dello studente ad una formazione culturale e professionale qualificata, democratica e pluralista; alla riservatezza, all’informazione e alla trasparenza; alla partecipazione attiva e responsabile; alla libertà di apprendimento; al rispetto della vita culturale e religiosa. La norma impegna poi la scuola ad assicurare un ambiente favorevole; offerte formative aggiuntive e integrative; iniziative per il recupero; la salubrità e la sicurezza degli ambienti; la disponibilità di un'adeguata strumentazione tecnologica; servizi di sostegno e promozione della salute e di assistenza psicologica. La disposizione garantisce poi il diritto di riunione e di assemblea degli studenti.
L’articolo 3 – doveri – obbliga gli studenti a frequentare regolarmente i corsi e assolvere assiduamente agli impegni di studio; ad avere rispetto del personale tutto della scuola e dei loro compagni; a tenere un comportamento corretto e coerente con i princìpi di cui all'articolo 1; ad utilizzare correttamente le strutture, i macchinari e i sussidi didattici. L’articolo 4 – disciplina – è stato sostituito dal DPR 235/2007, e indica che i provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa, tendono al rafforzamento del senso di responsabilità dello studente e al recupero dei rapporti. Precisa che la responsabilità disciplinare è personale; che le sanzioni non possono essere inflitte senza contraddittorio, né possono influire sulla valutazione del profitto; che le medesime sono sempre temporanee, proporzionate, e ispirate al principio della riparazione del danno; il temporaneo allontanamento dello studente dalla comunità scolastica può essere disposto solo in caso di gravi o reiterate infrazioni disciplinari, per periodi non superiori ai quindici giorni; quando siano stati commessi reati che violano la dignità e il rispetto della persona umana o vi sia pericolo per l'incolumità delle persone, la durata dell'allontanamento può superare i quindici giorni. Di più, nei casi di recidiva, di atti di violenza grave, la sanzione è costituita dall'allontanamento dalla comunità scolastica con l'esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all'esame di Stato conclusivo del corso di studi o, nei casi meno gravi, dal solo allontanamento fino al termine dell'anno scolastico.
L’articolo 5 – Impugnazioni – (ugualmente sostituito dal DPR 235/2007) contiene la disciplina dei ricorsi contro le sanzioni disciplinari, ammessi entro quindici giorni ad un apposito organo di garanzia interno alla scuola, del quale fa parte almeno un rappresentante eletto dagli studenti, nella scuola secondaria superiore, e dai genitori, nella scuola media, che decide nel termine di dieci giorni.
Il Direttore dell'ufficio scolastico regionale, decide in via definitiva sui reclami proposti contro le violazioni dello Statuto, previo parere vincolante di un organo di garanzia regionale.
L’articolo 5-bis - Patto educativo di corresponsabilità - (aggiunto dal DPR 235/2007) introduce, contestualmente all'iscrizione alla singola istituzione scolastica, la sottoscrizione da parte dei genitori e degli studenti di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie.
Infine, l’articolo 6 - Disposizioni finali – contiene la raccomandazione circa la consegna in copia dello statuto agli studenti all’atto di iscrizione da parte della scuola.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 11 del 27maggio - 2 giugno 2010

 

NOTIZIE SULLA CARRIERA SCOLASTICA

E una nota del 20 dicembre 2005 indirizzata ai direttori generali degli uffici scolastici regionali, l’atto con il quale il ministro dell’istruzione ha infine accolto le istanze avanzate da tempo, con costanza e determinazione, dai genitori separati e divorziati non conviventi, relative al riconoscimento del loro diritto ad avere notizie e documentazione sulla carriera scolastica dei figli. La circolare fa seguito ad un parere favorevole del Ministero della Giustizia relativo appunto alla possibilità per il genitore non affidatario, in situazione di separazione e/o divorzio, di potere esercitare il diritto di seguire il figlio nel percorso scolastico. La nota ministeriale muove dall’esame delle norme vigenti in materia, secondo le quali la potestà sui figli minori è attribuita ad entrambi i genitori e deve essere esercitata di comune accordo, o quantomeno concordata nelle linee generali di indirizzo, sulla base delle quali ciascun genitore potrà e dovrà operare anche separatamente. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei; salvo il potere del padre, se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio, di adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili. Le norme, peraltro, aggiungono che il giudice suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare; e se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio. In caso di separazione, il giudice dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essi. In particolare il giudice stabilisce la misura e il modo con cui l'altro coniuge deve contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi. Il coniuge cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi. Tuttavia, anche quando l'esercizio della potestà è attribuito ad uno solo dei genitori, in genere il genitore affidatario, le decisioni di maggiore interesse sono adottate da entrambi i coniugi. Il coniuge, cui i figli non siano affidati, ha poi il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione - e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. Fermo restando che i coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi. Invero, la funzione educativa - di cui peraltro la potestà è mero strumento - deve svolgersi tenendo conto in via primaria della necessità di sviluppo della personalità del figlio, inteso come soggetto di diritti nella sua centralità, anziché delle aspettative e degli interessi personali dei genitori. E' proprio in conseguenza di tali comportamenti, quando si configurino gravi forme di carenza di assistenza e cura ovvero di abuso, che il genitore – sia esso affidatario o non affidatario dei figli - potrà incorrere nella decadenza della potestà genitoriale, su provvedimento del giudice. E solo in tale ultimo caso, a tutela del figlio nei confronti del quale è stata posta in essere la condotta pregiudizievole, il genitore decaduto dalla potestà genitoriale sarà conseguentemente decaduto da qualunque diritto e dovere nei confronti dell'educazione dei figli. Sulla scorta di tali premesse, il ministro conclude invitando le autorità scolastiche regionali, secondo le rispettive competenze, a voler favorire l'esercizio del diritto dovere del genitore separato o divorziato non affidatario di vigilare sull'istruzione ed educazione dei figli e conseguentemente di accedere alla documentazione scolastica degli stessi.

Domenico Barboni

Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 2, 27 gennaio – 9 febbraio 2006

 

ALUNNI: PORTFOLIO E PRIVACY

Il Garante per la protezione dei dati personali – in risposta alle numerose segnalazioni di genitori di alunni che lamentano possibili violazioni della riservatezza nella gestione del portfolio (o cartella delle competenze individuali) – è intervenuto per richiamare gli istituti scolastici all’adozione di misure volte a favorire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità ed alla protezione dei dati personali, considerata la quantità, la varietà e la delicatezza delle informazioni che possono essere inserite nel portfolio e l'ingente numero dei minori e familiari interessati. Il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, da parte sua, si è dichiarato disponibile ad inviare, in relazione al documento del Garante, una nota esplicativa da far pervenire, tramite gli uffici scolastici regionali, a tutte le istituzioni scolastiche, affinché queste si conformino al Codice in materia di protezione dei dati personali nella compilazione e gestione del portfolio.
Le problematiche rappresentate al Garante riguardano la liceità e la correttezza del trattamento dei dati personali confluenti in quel documento relativi al percorso scolastico e alla vita privata e sociale degli alunni: non è infatti previsto, a livello nazionale, un modello tipo di portfolio, e ciò determina la proliferazione di documenti molto diversi da scuola a scuola, ed una più ampia annotazione di informazioni sensibili, intese come dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.
Il Garante ha quindi sottoscritto un documento il 26 luglio 2005 – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 8 agosto 2005, n. 183 - nel quale indica i seguenti principi in base ai quali l'istituto scolastico titolare del trattamento dei dati personali deve procedere alla compilazione del portfolio. Principio di finalità: il trattamento di dati personali effettuato mediante il portfolio è consentito solo per raggiungere le finalità di valutare l'apprendimento e il comportamento degli studenti e per certificare le competenze da essi acquisite; non sono perseguibili ulteriori finalità attinenti, ad esempio, all'individuazione del profilo psicologico degli alunni o alla raccolta di informazioni sul loro ambiente sociale e culturale di provenienza. Principio di necessità: laddove le finalità del portfolio possono essere perseguite anche senza trattare dati personali o identificativi, il trattamento deve riguardare solo dati anonimi. Principio di proporzionalità: le operazioni di trattamento dei dati personali devono essere in ogni singola fase effettivamente pertinenti e non eccedenti rispetto alla finalità di valutazione dell'alunno. Principio di indispensabilità: l’acquisizione dei dati sensibili deve avvenire attraverso una valutazione obiettiva e selettiva, e solo se realmente indispensabili per valutare il processo formativo.
Il documento prescrive agli istituti anche le seguenti misure: predisporre un modello di portfolio – in osservanza dei principi su riferiti, di più evitando la raccolta di dati oggetto, per il nostro ordinamento, di particolari cautele (es., dati relativi allo stato di affidamento o di adozione); rendere a chi esercita la potestà sull'alunno l’informativa specifica in merito al trattamento dei dati personali, nella quale occorre indicare quali sono le finalità perseguite, se è necessario o facoltativo conferire i dati di natura personale, quali sono le conseguenze di un eventuale rifiuto a fornirli, quali soggetti possono consultare il portfolio e per quali scopi; impartire idonee istruzioni ai docenti che sovrintendono alla compilazione del portfolio; designare i soggetti che possono accedere ai dati contenuti nel portfolio quali incaricati o, eventualmente, responsabili del trattamento; trattare i dati in questione nel pieno rispetto delle misure di sicurezza; garantire l'esercizio da parte di tutti gli interessati, e in particolare degli esercenti la potestà, del diritto di chiedere l'aggiornamento, la rettificazione, l'integrazione dei dati, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge; individuare brevi periodi di eventuale conservazione dei dati personali raccolti nel portfolio; rilasciare il portoli allo studente alla fine del corso degli studi, affinché lo consegni, solo ove ciò sia previsto, al nuovo istituto scolastico.
Ora non resta che attendere che le scuole mettano in pratica le istruzioni dell’autorità Garante per la protezione dei dati personali, nell’interesse di tutti i soggetti coinvolti, e nel rispetto delle finalità del portfolio.

Domenico Barboni

Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 16 del 14- 27 ottobre 2005

 

LA MATURITA’ NELLE PARITARIE

L’ordinanza ministeriale n. 32/2005 ripropone senza modifiche degne di nota la formula dell’esame di Stato introdotta con la riforma Moratti del 2002, che prevede una commissione d’esame interna, formata dai docenti della stessa classe e da un presidente esterno, unico per tutta la scuola. Le commissioni, negli istituti statali e negli istituti paritari, sono formate da un numero di docenti variabile, compreso tra quattro e otto, a seconda degli indirizzi di studio. I docenti delle materie oggetto della prima e della seconda prova scritta ne fanno parte di diritto, mentre gli altri componenti sono designati tra i rimanenti dal consiglio di classe, cercando, per quanto possibile, di assicurare l’accertamento della conoscenza delle lingue straniere, ove presenti tra le materie dell’ultimo anno. Nelle scuole legalmente riconosciute e pareggiate, la commissione di ogni classe è composta per metà dai docenti designati dal competente consiglio di classe; per metà dai docenti della classe della scuola statale o della scuola paritaria cui è abbinata. Si tratta di una soluzione già sperimentata nelle scorse sessioni, molto apprezzata dagli studenti, per la sua natura meno ansiogena – premiata dagli esiti maggiormente positivi conseguiti dai candidati; dagli insegnanti delle classi, gratificati dall’aver recuperano un ruolo decisivo anche in sede d’esame finale; e senza dubbio meno onerosa per l’erario, considerato che un commissario interno costa allo Stato almeno la metà di uno esterno, senza contare il risparmio in termini di rimborsi spese.
Indifferenti all’innovazione della commissione d’esame interna nelle scuole statali e paritarie sembrano i candidati cosiddetti privatisti, per i quali, essendo esterni all’istituto scolastico, la commissione rimane comunque composta da docenti estranei. In relazione all’esame dei privatisti, le norme ministeriale prevedono una speciale disciplina relativa all’ammissione all’esame di Stato, e all’assegnazione del credito scolastico; lo svolgimento dell’esame vero e proprio, infatti, è disciplinato dalle medesime disposizioni di quello dei candidati interni all’istituto.
Quanto ai requisiti di ammissione, sono ammessi all’esame coloro che compiano il diciannovesimo anno di età entro l’anno solare in cui si svolge l’esame e dimostrino di aver adempiuto all’obbligo scolastico; siano in possesso del diploma di licenza di scuola media da almeno un numero di anni pari a quello della durata del corso prescelto, indipendentemente dall’età; compiano il ventitreesimo anno di età entro l’anno solare in cui si svolge l’esame - in tal caso i candidati sono esentati dalla presentazione di qualsiasi titolo di studio inferiore; siano in possesso di altro titolo conseguito al termine di un corso di studio di istruzione secondaria superiore di durata almeno quadriennale; abbiano cessato la frequenza dell’ultimo anno di corso prima del 15 marzo. L’ammissione dei candidati esterni che non siano in possesso di promozione o idoneità all’ultima classe è subordinata al superamento dell’esame preliminare, inteso ad accertare, attraverso prove scritte, grafiche, rittografiche, pratiche e orali, secondo quanto previsto dal piano di studi, la loro preparazione sulle materie dell’anno o degli anni per i quali non siano in possesso della promozione o dell’idoneità alla classe successiva. I candidati in possesso di altro titolo conseguito al termine di un corso di studi di durata almeno quadriennale, e quelli in possesso di promozione o idoneità all’ultima classe di altro corso di studio, sostengono l’esame preliminare solo sulle materie e sulle parti di programma non coincidenti con quelle del corso già seguito. Al contrario, i candidati esterni provvisti di idoneità o di promozione all’ultima classe, ovvero di ammissione alla frequenza di detta classe nell’ambito dello stesso corso di studio, non devono sostenere l’esame preliminare. L’esame preliminare è sostenuto nel mese di maggio e, comunque, non oltre il termine delle lezioni, davanti al consiglio della classe collegata alla commissione alla quale il candidato esterno è stato assegnato. Il consiglio di classe, ove necessario, è integrato dai docenti delle materie insegnate negli anni precedenti l’ultimo. Il candidato è ammesso all’esame di Stato se consegue un punteggio minimo di sei decimi in ciascuna delle discipline per le quali sostiene la prova. L’esito positivo degli esami preliminari, in caso di mancato superamento dell’esame di Stato, vale come idoneità all’ultima classe del tipo di istituto di istruzione secondaria superiore cui l’esame si riferisce. L’esito dei medesimi esami preliminari, in caso di non ammissione all’esame di Stato, può valere, a giudizio del consiglio di classe, come idoneità ad una delle classi precedenti l’ultima.
Con riferimento all’assegnazione del credito scolastico, ai candidati esterni è attribuito dalla commissione d’esame ed è pubblicato all’albo dell’Istituto sede d’esame il giorno della prima prova scritta.

Anna Nardone

Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 13 del 1 – 15 settembre 2005

 

SE L’ALUNNO E’ DISABILE IL TRASPORTO VA GARANTITO
Sussiste il diritto dell’alunno portatore di handicap a vedersi garantito l’accesso all’istruzione, anche non obbligatoria – nella specie, attraverso l’assicurazione di un servizio di trasporto gratuito dalla residenza alla scuola secondaria superiore dal medesimo frequentata – e il relativo onere va posto a carico dell’amministrazione locale competente. Sono, infatti, i valori costituzionali ad imporre la doverosità della tutela dei soggetti disabili ai fini di garantire l’accesso all’istruzione, sotto ogni profilo, anche del trasporto, e senza distinzione tra scuola dell’obbligo e scuola superiore. Così ha deciso il T.A.R. Campania, in una recente pronuncia nella quale fa proprio l’orientamento della Corte costituzionale in materia (TAR Campania, Salerno, sez. I, 22.2.2006 n. 167).
La vicenda
I ricorrenti hanno rappresentato che il proprio figlio minore, portatore di handicap con invalidità al 100% e iscritto ad un istituto secondario superiore, non era in grado di usufruire degli ordinari mezzi pubblici di trasporto dal proprio comune di residenza, a quello ove la scuola era localizzata. A fronte della denunziata inerzia serbata, per quanto di rispettiva competenza, dalle amministrazioni regionale, provinciale e comunale, i medesimi hanno chiesto al TAR Campania l’accertamento del diritto del minore disabile al trasporto gratuito da casa a scuola, e la condanna dell’ente locale ritenuto obbligato a provvedere di conseguenza. Il Tribunale Amministrativo Regionale adito accoglie la domanda proposta dai ricorrenti e, dichiarato il diritto al servizio di trasporto, individua nell’amministrazione provinciale l’ente locale tenuto per competenza a provvedere, condannandola all’adempimento.
Le motivazioni
Il giudice amministrativo indirizza la propria verifica sui seguenti due aspetti: a) se esista il rivendicato diritto al trasporto gratuito da casa a scuola a favore di disabili che non frequentino la scuola dell’obbligo; b) quale sia l’Amministrazione intestataria dell’obbligo di provvedere al relativo servizio. Sul primo punto, le opinioni della giurisprudenza anche più recente appaiono contrastanti: accanto a pronunce favorevoli, vi sono sentenze che espressamente limitano tale beneficio alla frequenza della scuola dell’obbligo. Il TAR Campania è dell’opinione che il rivendicato diritto trovi cittadinanza e positivo riscontro nel nostro ordinamento. A conforto della propria tesi richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha giudicato illegittime quelle previsioni che si limitavano a prevedere che la frequenza delle scuole superiori e dell’università da parte dei disabili fosse solo “facilitata”, piuttosto che, alla luce dei valori costituzionali coinvolti, “assicurata”, potendosene, per tal via, dedurre l’estensione anche alla scuola superiore dei medesimi e strumentali ausili previsti per la scuola dell’obbligo, quali ad esempio il trasporto gratuito. A favore della tesi del giudice amministrativo campano depone anche la previsione del testo unico degli enti locali che, nel contesto della distribuzione delle competenze tra gli enti coinvolti, stabilisce che “il supporto organizzativo” all’integrazione scolastica nelle scuole superiori deve essere assicurato dalle province: sembrando indubbio che tale “supporto organizzativo” debba anzitutto ricomprendere il trasporto abitazione-sede scolastica. Ciò premesso in ordine alla sussistenza del diritto dei ricorrenti al trasporto gratuito del figlio disabile, il TAR passa quindi all’analisi del soggetto pubblico tenuto a tale adempimento. Come accennato, a tale proposito il testo unico degli enti locali attribuisce le competenze in tema di “servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio” alle Province, in relazione all’istruzione secondaria superiore, ed ai Comuni, in relazione agli altri gradi di scuole (confermano, anche in questa materia, la tradizionale logica del riparto tra i due enti locali). Tuttavia, è ugualmente principio consolidato nell’ordinamento che i compiti di assistenza sociale e personale facciano tradizionalmente capo al Comune, e che spetti ai Comuni assicurare, nell’ambito delle proprie ordinarie risorse di bilancio, modalità di trasporto. Da tanto il giudice statuisce, in coerenza con una risalente tradizione “distributiva” in questa materia, nel senso della collocazione a livello provinciale delle competenze strumentali afferenti alla istruzione secondaria. Alla luce delle considerazioni che precedono, il TAR conclude che sussiste il diritto al trasporto gratuito anche per i disabili che frequentino le scuole secondarie superiori, e che tale servizio di trasporto deve essere garantito dalla Provincia. Merita un ultimo cenno la parte conclusiva della sentenza in oggetto, nella quale il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania ha occasione di mettere in rilievo che la questione sottoposta dai ricorrenti al suo giudizio contiene l’accertamento di una situazione di diritto soggettivo perfetto (solitamente riservata al giudice ordinario), quale il diritto del disabile al trasporto gratuito, strumentale al suo diritto di accesso all’istruzione, anche non obbligatoria. Tuttavia, osserva il giudice, detta questione rientra comunque nell’ambito della suo potere giurisdizionale, avuto riguardo in concreto alla domanda oggetto della vertenza: infatti, la richiesta dei ricorrenti mira alla condanna dell’amministrazione territoriale competente all’assunzione del servizio di trasporto nei confronti del figlio disabile; l’accertamento della sussistenza del relativo diritto costituisce un mero presupposto della condanna dell’ente locale a garantire il servizio. Per effetto di tutti motivi esposti, il TAR Campania, definitivamente pronunciando sul ricorso, lo accoglie e ordina alla Provincia di Salerno di provvedere alla assicurazione, in favore del minore disabile ricorrente, del servizio di trasporto a titolo gratuito dalla abitazione alla sede scolastica.

Anna Nardone

Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 8, 21 aprile – 4 maggio 2006

 

Bullismo

DILAGA IL BULLISMO IN CLASSE
Dai risultati di un’indagine svolta in diverse province italiane, emerge che quello del bullismo a scuola è un fenomeno dalle dimensioni preoccupanti, diffuso in ogni ordine e grado, dietro al quale si nasconde la difficoltà per i giovani di rapportarsi con un nucleo comunitario organizzato secondo proprie regole di convivenza e modalità di aggregazione, basate su affinità caratteriali o condivisione di interessi, quale è la scuola. Per gli studenti la prova più difficile sembra sia ottenere il consenso dei compagni, e l’emarginazione diventa un fattore di fragilità e di sottomissione ai più forti. Ugualmente, chi non è disposto ad accettare le richieste e le prepotenze del gruppo, diventa bersaglio di persecuzioni. Gli studi compiuti rivelano che la diffusione più generalizzata del problema si ha nelle scuole elementari – anzi, in passato il fenomeno era limitato a quelle. Lì, il bullismo nasce e si sviluppa indisturbato nei momenti e negli spazi fuori dal controllo degli adulti: l’intervallo, la mensa, i bagni, gli spogliatoi della palestra, il tragitto casa-scuola. Allarmanti sono i dati che emergono da un recente rapporto di Eurispes e Telefono azzurro: il 78,9% dei bambini dichiara di doversi difendere; il 42,3% dei bambini fra i 7 e gli 11 anni dichiara di subire brutti scherzi; il 39,6% di subire prese in giro ripetute e il 33,6% offese ripetute; la scuola (32,3%) e la strada (27,3%) sono i luoghi più a rischi; e solo il 27% dei bambini chiede aiuto agli adulti. Il fenomeno assume le forme più diverse: aggressioni verbali e fisiche; esclusioni; danni e furti; dispetti; insulti; calunnie. I bulli agiscono prevalentemente da soli, talora in coppia, e si rivolgono indifferentemente verso maschi e femmine. Con il crescere dell’età si assiste a una diminuzione di casi ma ad una maggiore estremizzazione del fenomeno. Rispetto all’età infantile, infatti, nell’età adolescenziale la strategia crudele di sottomissione del più debole si aggrava per l’aggiunta dell’intenzionalità, e spesso incontra l’indifferenza degli adulti, convinti che i ragazzi siano ormai in grado di badare a sé stessi, o, peggio, intimoriti da possibili ritorsioni. Le ricerche denunciano che il 24% degli adolescenti subisce prevaricazioni, offese, prepotenze. Nella scuola superiore, il bullo è una figura mutevole, diversa a seconda dell’indirizzo di studi proprio dell’istituto nel quale è inserito. Il suo strumento di prevaricazione per eccellenza preferito è l’aggressione verbale, che, pur sembrando poco vessatoria, quando è quotidiana e ossessiva può distruggere; seguono le offese e gli insulti – l’estremizzazione delle prime; gli scherzi pesanti, subiti – secondo lo studio condotto - dal 30% delle vittime; e, nei casi più gravi, le minacce, le aggressioni, i piccoli furti. Tra gli adolescenti, i luoghi in cui il fenomeno del bullismo si sviluppa maggiormente non sono, come per i bambini, il tragitto tra scuola e casa, i bagni di scuola, i corridoi o gli spogliatoi; sono le classi, tra l’assenza, l’indifferenza e l’ostilità degli altri, insegnanti e compagni. Una indagine sul disagio giovanile nelle scuole superiori della Lombardia testimonia che il 50,6% dei giovani vittime di episodi di bullismo ha dichiarato che i compagni di scuola si sono rifiutati di aiutarli.
Tra le cause, o concause, del bullismo, esperti americani individuano l’abitudine di vedere troppa televisione, la quale non solo favorisce disturbi alimentari, diminuisce la concentrazione, toglie spazio alla socialità, ma influisce sul comportamento dei ragazzi al punto tale da scatenarne l’aggressività. I nuovi studi dimostrano che . specie in assenza del filtro degli adulti - i bambini assorbono i messaggi aggressivi che arrivano dallo schermo, incapaci di elaborarli, con effetti sulla loro condotta a scuola, e a casa: diventano litigiosi e prepotenti con i compagni, gli insegnanti, i genitori. Secondo l’indagine, il rischio di sviluppare atteggiamenti aggressivi cresce nei soggetti che passano davanti al video almeno cinque ore al giorno. I comportamenti sono migliori se i genitori stimolano i figli a comunicare, ed uscire, a praticare sport. Ed è proprio sull'esercizio fisico che puntano gli studi psicologici: i bambini hanno bisogno di muoversi, di esprimersi con il corpo; se invece rimangono seduti per ore ad assorbire passivamente le immagini che arrivano dalla televisione, accumulano energia negativa che poi scaricano con l’aggressività. Il movimento è fondamentale per l’equilibrio psico-fisico di ogni ragazzo. Gli psicologi aggiungono che guardare troppa televisione ha anche l’effetto di creare nei ragazzi una sorta di anestesia affettiva, nel senso di un’assuefazione alle immagini di morte, di sofferenza. Sull'aggressività del bambino influiscono poi anche i comportamenti tenuti nell’ambiente famigliare. A questo proposito, da una ricerca australiana sulla violenza nelle scuole emerge che i bambini che in famiglia sono puniti in modo violento o contraddittorio sono i maggiori protagonisti negli episodi di bullismo a scuola.

Domenico Barboni

Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 8, 21 aprile – 4 maggio 2006

 

I PROGETTI PER LA PREVENZIONE
Il fenomeno del bullismo nelle scuole impegna molto insegnanti ed educatori nella ricerca di idonei strumenti di contenimento e prevenzione. Ciò specie negli ultimi anni, allorché si è acquisita, infine, la consapevolezza di un problema invero sempre esistito. E così nelle scuole si sperimentano interventi mirati a prevenire fenomeni di prevaricazione e ad aiutare i ragazzi più fragili. Esemplare è il caso di un istituto scolastico di Saronno, che ormai da diversi anni ha attivato un "progetto bullismo", che proprio attraverso la prevenzione mantiene il fenomeno sotto controllo. L’attenzione degli operatori è focalizzata soprattutto sul primo biennio, perché l’esperienza ha insegnato che i comportamenti prepotenti sono diffusi soprattutto tra i ragazzi che arrivano nella scuola: il biennio è il momento più delicato; superato quello, gli studenti migliorano molto sotto il profilo comportamentale, anche per una maturazione personale; rimane qualche caso isolato, che perlopiù abbandona la scuola prima della fine. Attraverso un questionario distribuito agli studenti del primo biennio, i docenti delineano i contorni del problema al fine di individuare politiche mirate. Il primo questionario viene sottoposto all’inizio dell’anno scolastico; quindi viene riproposto a marzo: dal confronto dei dati emergenti dai due questionari esce il quadro di riferimento su cui si avviano gli interventi. Nell’ambito del “progetto”, l’istituto individua un docente responsabile, anche se tutti gli insegnanti, soprattutto dei primi due anni, vengono responsabilizzati nell'attività di prevenzione, recupero o controllo di casi a rischio. Oltre a ciò, l’amministrazione comunale finanzia un'associazione specializzata che offre la consulenza a tutte le scuole nell’affrontare la questione del bullismo, della prevaricazione e della difficoltà di relazione degli studenti. L’associazione opera attraverso interventi rivolti a classi intere, con obiettivo l’approfondimento in comune del fenomeno; ovvero a singoli ragazzi, permettendogli di evitare sanzioni disciplinari svolgendo attività socialmente utili. Il “progetto”, che indubbiamente richiede un notevole impegno ed anche un costante aggiornamento da parte del personale docente, ha dato importanti risultati, migliorati negli anni.
Altro caso sintomatico di strategie adottate per combattere il bullismo nelle scuole è quello di un istituto di istruzione di Ferentino. Stavolta si tratta di interventi di tipo sanzionatorio, ma, anche in questo caso, con forti aspirazioni educative e preventive. L’iniziativa è stata deliberata di comune accordo tra il dirigente scolastico, i docenti e i genitori, e prevede che i ragazzi più irrequieti, protagonisti di atti di bullismo, vengano indotti a rimediare alle mancanze disciplinari non ricorrendo agli usuali strumenti sanzionatori, bensì attraverso azioni di assistenza sociale. In tal modo, la scuola sceglie di evitare le misure che portano all'allontanamento del ragazzo dalla scuola e quindi alla sua emarginazione – si pensi alla sanzione disciplinare della sospensione dalle lezioni prevista dai regolamenti per le violazioni più gravi - preferendo soluzioni alternative, che al contrario lo rendono partecipe della vita di gruppo, e lo mettono in condizioni di capire veramente il mondo che lo circonda e i suoi problemi.
Resta inteso che di fronte agli episodi più gravi di bullismo, capaci di configurare vere e proprie fattispecie delittuose – violenze, minacce, lesioni, rapine - è inevitabile il ricorso agli strumenti repressivi offerti dalla legislazione penale. A tale proposito, anzi, recentemente la stessa Corte di Cassazione, dimostrando un atteggiamento tutt’altro che clemente, ha invitato i giudici dei tribunali dei minori a non escludere la custodia cautelare in carcere per gli adolescenti in attesa di giudizio che presentino una forte propensione a delinquere, rivelata da una mala condotta mantenuta anche dopo l'inizio delle indagini.

Anna Nardone

Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 8, 21 aprile – 4 maggio 2006

 

I DIRITTI DELL’ALUNNO PORTATORE DI HANDICAP.
Il minore disabile ha diritto alla presenza dell’insegnante di sostegno per il massimo delle ore di sostegno previste in relazione il tipo di corso scolastico frequentato. Il Tribunale di Roma - con pronuncia cautelare resa il 4.3.2004 su ricorso R.G. n. 13041/04 – si esprime su un tema delicato e di grande attualità, quale il diritto allo studio, e in particolare il all’inserimento scolastico, del minore portatore di handicap. Da tempo sono riconosciuti e apprezzati i benefici dell’integrazione del disabile nell’ambiente scolastico, sotto il profilo del maggiore apprendimento, dello sviluppo delle capacità di socializzazione e comunicazione, della crescita intellettiva. Ugualmente sono note le oggettive difficoltà che la presenza degli alunni portatori di handicap pone al sistema dell’istruzione, affrontate e risolte negli anni dal legislatore e dalla stessa amministrazione in modo più o meno efficace.
La vicenda
Nel caso all’esame del giudice, l’alunno presentava un disturbo di apprendimento all’interno di un ritardo mentale che necessitava, sulla base di autorevoli pareri medici, di un insegnamento individualizzato in un rapporto uno a uno. La scuola aveva inopinatamente riconosciuto al minore la presenza di un insegnante di sostegno per un ridotto numero di ore settimanali – quattro ore e mezzo -, ritento dalla famiglia inadeguato a realizzare il contenuto essenziale del suo diritto fondamentale all’educazione e all’istruzione. Il giudice, alla luce delle circostanze di fatto e delle norme vigenti, riconosce la necessità e l’urgenza di assicurare all’alunno il massimo delle ore di sostegno previste per il tipo di corso scolastico frequentato e ordina all’amministrazione di assicurare la presenza dell’insegnante di supporto in quei termini.
Le motivazioni
Si premetta che la giurisprudenza, occupandosi del diritto all’inserimento scolastico da parte del minore disabile, ha chiarito, con l’occasione, che la materia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. Più in generale, ha giudicato che nei rapporti individuali di utenza tra erogatori di pubblici servizi (tra i quali rientra l’istruzione) e soggetti privati (tra i quali sono compresi gli alunni e le loro famiglie), la cognizione appartiene al giudice ordinario; come ha precisato la suprema Corte (n.558/2000), in tali rapporti l’individuazione del giudice deve avvenire in base alla consistenza della situazione giuridica di cui si domanda la tutela, riconoscendosi la sussistenza della giurisdizione ordinaria relativamente ai diritti soggettivi – tra i quali rientra il diritto allo studio e all’inserimento scolastico. A tale proposito, il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata è garantito innanzitutto dalla Carta Costituzionale, che all’art. 38 recita: “gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione ed all’avviamento professionale. Ai compiti previsti da questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”; all’art. 34: “La scuola è aperta a tutti“; all’art. 2: “La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo…nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; inoltre, il diritto all’inserimento sociale dei disabili è garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea approvata il 7 dicembre 2000 e dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Il diritto discende, inoltre, dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 - legge quadro per l’assistenza, integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate - che, all’art. 12 garantisce “il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata …nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie” e stabilisce che “l’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione“ e che “l’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti da disabilità connesse all’handicap”. La natura assoluta ed inviolabile del diritto è confermata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 che, dopo aver fissato la dotazione organica di insegnati di sostegno per l’integrazione degli alunni handicappati nella misura di un insegnante per ogni gruppo di 138 alunni complessivamente frequentanti gli istituti scolastici statali della provincia, consente espressamente, in attuazione dei principi della citata legge n. 104 del 1992 ai fini della integrazione scolastica degli alunni handicappati, “con … il ricorso all’ampia flessibilità organizzativa e funzionale delle classi prevista dall’art. 21, commi 8 e 9, della legge 15 marzo 1997, n. 59…la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto docenti-alunni….in presenza di handicap particolarmente gravi”. Pertanto, l’attribuzione al minore handicappato di un numero non adeguato di ore di sostegno didattico si risolve nella ingiustificata compromissione di un fondamentale diritto dell’individuo portatore di handicap alla educazione ed all’inserimento scolastico, diritto non suscettibile di affievolimento. In particolare, nel caso sottoposto al Tribunale di Roma, l’amministrazione scolastica ha esercitato la propria discrezionalità - tecnica, perché limitata all’apprezzamento del grado di invalidità e della gravità della menomazione – in modo illogico, in presenza di un alunno individuato come persona handicappata, anche alla luce della documentazione proveniente da autorità mediche qualificate; neanche le esigenze finanziarie invocate dall’amministrazione possono giustificare la compressione in modo così drastico e frustrante del diritto alla istruzione e all’inserimento scolastico poiché la stessa legge che fissa il limite - determinato dal rapporto tra popolazione scolastica abile e insegnanti di sostegno - consente di derogarvi nei casi gravi.
Il Tribunale conclude giudicando che la sottrazione del supporto educativo dell’insegnante di sostegno, o l’attribuzione di un numero di ore di sostegno non adeguate alla realizzazione del diritto garantito dalla legge e dalla Costituzione al minore handicappato, si risolve nella compromissione di un diritto fondamentale della persona, sicché deve essere ordinato all’amministrazione di ristabilire le condizioni didattiche ed assistenziali che consentano di assicurare all’alunno il supporto dell’insegnate di sostegno per tutto l’orario scolastico.

Domenico Barboni
Pubblicato su “il sole 24 ore scuola” del 16 aprile 2004.

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