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Esecutività

TAR Calabria, Sez. II, Sentenza n. 522 del 10.4.2008
Con ricorso regolarmente notificato e depositato un dirigente medico dipendente di un'Azienda ospedaliera, ha chiesto che quest'ultima ottemperi ad un verbale di conciliazione, redatto dinanzi al Collegio di conciliazione costituitosi ex art. 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), presso la competente Direzione provinciale del lavoro. Il Tar adito così decideva: "[…]Ai sensi dell'art. 27, primo comma, n. 4, del r.d. n. 1054 del 1924 e dell'art. 37 della legge n. 1071 del 1934 presupposto indefettibile ai fini dell'ammissibilità del giudizio di ottemperanza è costituito dal giudicato. Come è noto, per cosa giudicata (sostanziale) si intende "l'accertamento contenuto nella sentenza passato in giudicato" (art. 2909 c.c.) e cioè nella sentenza che ha raggiunto quella stabilità derivante dall'assenza di ulteriori mezzi di impugnazione (cosiddetta cosa giudicata formale.
Il verbale di conciliazione non ha natura di sentenza né più in generale di provvedimento giurisdizionale, in quanto la Commissione di conciliazione non esercita funzioni giudiziarie ma amministrative (si veda, tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5480).
Né ad una diversa conclusione si può pervenire, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, facendo leva sul fatto che il citato art. 66 assegna al verbale valore di titolo esecutivo e che l'art. 474, secondo comma, n. 1., c.p.c. equipara alle sentenze "i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva". Tale equiparazione, avendo valenza soltanto formale limitata all'ambito del giudizio di esecuzione in cui la stessa è posta, consente, infatti, all'interessato unicamente di potere ricorrere al giudice ordinario dell'esecuzione nei modi e nei limiti contemplati nel libro terzo del codice di procedura civile.
Dal contenuto delle norme sopra richiamate non è possibile, pertanto, desumere una assimilazione di natura sostanziale con la sentenza ai fini dell'esperibilità del giudizio di ottemperanza […]".
Il sistema legislativo vigente, pertanto, non consente al privato di ricorrere al giudice amministrativo in sede di ottemperanza per ottenere l'esecuzione del contenuto dei verbali di conciliazione.
La decisione conclude sottolineando le differenti forme di tutela esperibili dal ricorrente:
"[…] Il nostro sistema legislativo […] contempla un modello di tutela giudiziale alternativo a quello in natura: in particolare, il ricorrente, oltre a potere chiedere il risarcimento dei danni subiti in presenza di un fatto riconducibile al paradigma dell'art. 2043 c.c., può giovarsi di mezzi cosiddetti di coazione indiretta all'adempimento.
L'avere ottenuto un titolo esecutivo con obbligo dell'amministrazione di disporre il trasferimento concordato in sede di conciliazione - a prescindere dalla possibilità di "scomporre" tale obbligo per valutare la eventuale sussistenza di "parti" suscettibili di coercizione all'adempimento stesso - consente al lavoratore di offrire la propria prestazione lavorativa esclusivamente con quelle modalità oggetto di accordo e con conservazione del diritto alla retribuzione anche nel caso in cui il datore di lavoro si ostini a non ottemperare spontaneamente agli obblighi assunti in sede di conciliazione (cfr., Cass., sez. lav., 17 giugno 2004, n. 11364) […]".

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