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Mobbing

BOSSING, RISPONDE IL PRESIDE
(Il mobbing è un’azione di continua denigrazione della professionalità)

Il fenomeno del mobbing - ovvero del bossing (variante in cui la condotta persecutoria viene messa in atto dal superiore con finalità più strategiche, spesso di riduzione del personale) - interessa da anni anche in mondo del pubblico impiego, ed in particolare della scuola. Qui ha preso vita anche una forma deviante, nella quale sono gli alunni ad assumere comportamenti intimidatori e aggressivi nei confronti dei docenti. Si tratta di un’ipotesi di mobbing ascendente, eccezionale (essendo il fenomeno di solito discendente), nella quale le condotte di accanimento si rivolgono nei confronti di soggetti formalmente collocati una posizione di superiorità - che presenta analogie con il bullismo. Inoltre, anche nella scuola le condotte mobbizzanti possono assumere la natura di stalking, quando gli atteggiamenti tenuti da un individuo affliggono un'altra persona, spesso di sesso opposto, perseguitandola ed ingenerando stati di ansia e paura, che possono arrivare a comprometterne il normale svolgimento della quotidianità.
Per identificare il fenomeno, dottrina, giurisprudenza e psicologi del lavoro hanno chiarito che non ogni comportamento pur vessatorio può essere considerato mobbing, occorrendo una durevole serie di comportamenti vessatori e persecutori (protratta per almeno sei mesi) tali da arrecare, in un rapporto di causalità diretta, una situazione di sofferenza nel dipendente, incidente sulla persona, e in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psicosomatica. Le condotte sono quelle che celano una situazione di continua denigrazione della professionalità del dipendente; un’azione persecutoria mirata nei suoi confronti; una violenza psicologica particolarmente accanita; atti e comportamenti che, considerati nel loro insieme sotto il profilo delle norme regolatrici del rapporto di lavoro, determinino l’abusiva ingerenza nelle competenze del dipendente, riducendo marcatamente l’ambito di autonomia operativa che gli compete, con una progressività che giunga al punto di creare condizioni ostative alla possibilità di svolgere l’attività lavorativa. Oltre che sul piano della professionalità, è mobbing il comportamento che attacca il dipendente anche sotto il profilo della personalità morale, mediante frasi ingiuriose, diffamatorie e screditanti; reiterate minacce di sanzioni disciplinari; addebiti di responsabilità insussistenti, anche con formali contestazioni, e financo ripicche.
In relazione a siffatti comportamenti vessatori, non è necessario indagare i motivi che sono alla base dell'intento persecutorio, essendo sufficiente attenersi ai caratteri oggettivi della condotta. Quanto al danno, si concretizza in una lesione ingiusta di un diritto della personalità del lavoratore, procurato in violazione dell'obbligo del neminem laedere in ambito extracontrattuale, ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c. Il danno è patrimoniale, morale, biologico, esistenziale, e comprende il danno alla professionalità e le sofferenze patite dal lavoratore per aver lavorato in un ambiente ostile e pregiudizievole. Con riferimento alla prova della sussistenza del danno, il dipendente è esonerato dalla prova del danno esistenziale e del danno morale - attese le evidenti ed oggettive ripercussioni che la prolungata vicenda, con i suoi annessi, procura nella sfera del dipendente; ed anche dalla prova del danno alla professionalità, nella parte attinente all'immagine professionale. Per il resto, e in particolare per il danno biologico, questo va provato com’è d’uso con attestazioni mediche.
Con particolare riferimento alle ipotesi di mobbing nell’ambiente scolastico, la giurisprudenza pone il danno arrecato alla vittima del mobbing a carico del dipendente - dirigente scolastico, o personale docente e non docente – autore materiale delle condotte mobbizzanti, come tale condannato in proprio al relativo risarcimento; talora in concorso con il Ministero dell’istruzione quale datore di lavoro responsabile contrattualmente per aver omesso di adottare le misure necessarie ad impedire la reiterazione dei comportamenti vessatori da parte dei dipendente.
La fattispecie di mobbing ai danni di professori può anche essere inquadrata nell’ambito del fenomeno del bullismo, dove i docenti diventano vittime di offese e umiliazione da parte degli alunni. Per contrastare tale fenomeno, che sta assumendo dimensioni preoccupanti specie nelle grandi città, il Ministero dell’Istruzione ha previsto ispezioni nelle scuole, interventi di supporto psicologico a disposizione dei professori, sia a scopo preventivo sia in aiuto degli insegnanti vittime di bullismo. Nello statuto degli studenti di scuola secondaria sono state introdotte nuove norme secondo le quali lo studente che viola le regole di buon comportamento rischia di essere affidato ai servizi sociali, ovvero di perdere l'anno. Il nuovo sistema sanzionatorio riguarda pure i genitori, chiamati a firmare un patto con la scuola al momento dell'iscrizione, che preveda tra l’altro il dovere di pagare per i danni che i figli procureranno, quindi anche di risarcire i docenti vittime delle loro improprie condotte.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 8 del 15 - 28 aprile 2011

 

CONDANNA PER IL CAPO D’ISTITUTO

(Ad Agrigento il tribunale ha imposto 18mila euro di risarcimento)

 Un caso esemplare di condotta mobbizzante realizzata a scuola – tra i primi e più significativi - è quello trattato dal Tribunale del lavoro di Agrigento, concluso con la condanna del dirigente scolastico a versare personalmente al DSGA la somma di € 18.000,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, biologico, morale e esistenziale (Trib Lav. Agrigento, 1.2.2005).

Il DSGA si doleva del fatto che il dirigente scolastico aveva determinato, con il  suo atteggiamento, un clima di distacco, tensione e mancanza di fiducia; nei suoi confronti l'operato si era sostanziato esclusivamente in ordini di servizio di carattere minatorio, con cui veniva richiesto il compimento di atti spesso non dovuti o estranei alle proprie competenze, in repliche, contestazioni di addebiti per lo più contenenti apprezzamenti di cattivo gusto, in frasi ingiuriose e lesive del ruolo, del decoro e della dignità del ricorrente, in minacce di sanzioni disciplinari mai irrogate. Il DSGA, di conseguenza, non aveva più potuto svolgere le proprie mansioni con l'autonomia operativa riconosciutagli dalla contrattazione collettiva, e aveva così subito un grave danno patrimoniale, derivante sia dall'impoverimento della capacità professionale acquisita e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, sia dalla lesione del diritto all'immagine e alla vita di relazione; inoltre,  il comportamento del dirigente scolastico aveva determinato nel ricorrente una condizione patologica caratterizzata da una sensazione di timore, associata a segni somatici indicativi di iperattività del sistema nervoso, sfociata in sindrome postraumatica da stress.

Per la reiterazione, la durata e la finalità di isolare il ricorrente dall'ambiente di lavoro, esautorandolo dalle funzioni attribuitegli dalla normativa, i comportamenti posti in essere dal dirigente si inquadravano nella fattispecie del "mobbing". Di tale condotta doveva rispondere sia direttamente il dirigente scolastico ex art. 2043 cc, sia l'ente datore di lavoro nella specie il Ministero dell’Istruzione - contrattualmente. Il ricorrente chiedeva quindi la condanna di entrambi al risarcimento del danno biologico, morale, patrimoniale e professionale.

Il giudice accertava che realmente vi era stata un'attività persecutoria – sotto il profilo professionale e morale - nei confronti del DSGA da parte del dirigente scolastico, essendo stati posti in essere atti e/o comportamenti, anche non autonomamente sanzionabili, ripetuti in maniera frequente e duratura al fine di danneggiare il lavoratore. Il mobbing, infatti, secondo la nozione elaborata dalla psicologia del lavoro, è una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente e in costante progresso all'interno del luogo di lavoro, in cui gli attacchi reiterati e sistematici hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e/o la professionalità della vittima.

Considerati nel loro insieme, sotto il profilo delle norme regolatrici del rapporto di lavoro, i reiterati ordini di servizio, le continue richieste di chiarimenti e di resoconti, l'abusiva ingerenza nelle procedure, mortificavano il ricorrente sul piano della professionalità; le frasi ingiuriose e diffamatorie lo attaccavano sotto il profilo della personalità morale, fino all’insorgenza dei sintomi psicosomatici. Inoltre, gli atti persecutori erano stati sufficientemente reiterati  nel tempo: secondo la definizione data dagli psicologi del lavoro il mobbing è un attacco ripetuto, continuato, sistematico, duraturo e il ricorrente in un arco temporale di circa sei mesi

Venendo a questo punto alle valutazioni giuridiche, si osserva che la fonte di responsabilità personale  del dirigente scolastico, autore dei fatti illeciti, era da ricercare nel generale principio espresso dall'art. 2043 cc, la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale. A ciò s’aggiungeva una concorrente responsabilità contrattuale del datore di lavoro, lo Stato, nella sua personificazione del Ministero dell'Istruzione.

 Domenico Barboni

 Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 8 del 15 - 28 aprile 2011

 

 IL MOBBING IN AUMENTO
Anche nel mondo della scuola dilaga il fenomeno del mobbing, con un crescente aumento delle vittime, e una sempre maggiore responsabilizzazione degli autori delle condotte - dirigenti scolastici, personale docente e non docente - chiamati a rispondere a titolo personale dei danni arrecati, talora in concorso con il Ministero dell'Istruzione, responsabile per aver omesso di adottare le misure necessarie ad impedire la reiterazione dei comportamenti vessatori da parte dei dipendenti. Per meglio identificare il fenomeno occorre innanzi tutto chiarire che non ogni comportamento pur vessatorio può essere considerato mobbing, occorrendo, secondo pacifica dottrina e giurisprudenza dominante, una durevole serie di comportamenti vessatori e persecutori (la giurisprudenza parla di sei mesi) tali da arrecare, in un rapporto di causalità diretta, una situazione di sofferenza nel dipendente, incidente sulla persona, e in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psicosomatica. L'elemento materiale può essere esemplificato nelle seguenti condotte tipiche: vessazioni nei contatti umani, con continue critiche alla prestazione lavorativa, ripetute minacce scritte (irrogazione di sanzioni disciplinari), accuse ingiustificate, frasi ingiuriose e diffamatorie; dequalificazione sul piano delle mansioni, a causa della pressante ingerenza arbitrariamente esercitata nella sfera di autonomia operativa, sino ad arrivare alla privazione degli strumenti di lavoro; attacchi contro la reputazione: false voci (accuse di boicottaggio, richiesta di visita ispettiva per farne accertare le responsabilità) e offese rivolte in presenza dei colleghi. A sua volta, il Dipartimento di Medicina del Lavoro e Sicurezza negli ambienti di lavoro di Milano definisce come mobbing i casi in cui un soggetto, servendosi di un potere (vantato o reale) invade sistematicamente e consapevolmente la sfera privata della vittima, con azioni che possono dirigersi contro la persona del soggetto da colpire; contro la sua funzione lavorativa; contro il suo ruolo; contro il suo status; il tutto finalizzato ad un progressivo isolamento fisico, morale e psicologico dall'ambiente di lavoro, sì da lasciare la vittima nella colpevole convinzione di non valere, fino a portarlo alla decisione estrema di lasciare il posto di lavoro. Ai fini della risarcibilità del danno a favore della vittima del mobbing occorre - sempre secondo dottrina e giurisprudenza - la contemporanea sussistenza dei seguenti fattori: la pluralità di azioni a carattere persecutorio (illecite, o anche lecite se considerate in se stesse), sistematicamente e prolungatamente dirette contro il dipendente; l'evento dannoso, quale sofferenza incidente sulla persona, e in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psicosomatica; il nesso di causalità diretta tra la condotta e il danno; la prova dell'elemento soggettivo. A quest'ultimo proposito, in relazione ai comportamenti vessatori, sistematici e duraturi, diretti contro il dipendente, non è necessario indagare i motivi che sono alla base dell'intento persecutorio, essendo sufficiente attenersi ai caratteri oggettivi della condotta ai fini di poter considerare dolosi i comportamenti lamentati. Quanto al danno, si concretizza in una lesione ingiusta di un diritto della personalità del lavoratore, procurato in violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza in ambito extracontrattuale, ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c. Esso è sia danno biologico, sia danno "esistenziale", comprendente il danno alla professionalità e le sofferenze patite dal lavoratore per aver lavorato in un ambiente ostile e pregiudizievole. Con riferimento alla prova della sussistenza del danno, il dipendente è esonerato dalla prova del danno esistenziale e del danno morale - attese le evidenti ed oggettive ripercussioni che la prolungata vicenda, con i suoi annessi, procura nella sfera del dipendente; ed anche dalla prova del danno alla professionalità, nella parte attinente all'immagine professionale. Per il resto, e in particolare per il danno biologico, questo va provato com'è d'uso con attestazioni mediche. Per quanto attiene infine alla misura del dovuto, ove risulti problematica l'operazione di calcolo per la presenza di varianti difficilmente determinabili, si può accedere ad una complessiva liquidazione equitativa. Con particolare riferimento alle ipotesi di mobbing nell'ambiente scolastico, la giurisprudenza tende a porre il danno arrecato alla vittima del mobbing a carico del dipendente - dirigente scolastico, o personale docente e non docente - autore materiale delle condotte mobbizzanti, come tale chiamato in giudizio a titolo personale, e condannato in proprio al relativo risarcimento; talora in concorso con il Ministero dell'istruzione e l'istituto scolastico in solido, responsabili per aver omesso di adottare le misure necessarie ad impedire la reiterazione dei comportamenti vessatori da parte dei dipendente.

Domenico Barboni

Pubblicato su "Il Sole 24 Ore Scuola" n. 19, 24 novembre - 7 dicembre 2006

 

A PROPOSITO DI “MOBBING”.
I casi di “mobbing”, ossia di vessazione e sopruso nei confronti dei lavoratori, non costituiscono, purtroppo, episodi isolati. Si tratta di comportamenti posti in essere dai datori di lavoro, dai superiori gerarchici o anche da colleghi, che producono un autentico stato di malessere nel dipendente, compromettendone la produttività e costringendolo perfino all’abbandono del posto di lavoro.
L’ordinamento ad oggi non fornisce una precisa risposta a tale casistica, anche se i comportamenti vessatori possono integrare diverse fattispecie di reato (violenza privata, diffamazione, ingiuria) o costituire violazione degli obblighi discendenti dall’art. 2087 del Codice Civile – che impone al datore di lavoro di “adottare … le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” – e delle prescrizioni imposte dal decreto n. 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Si tratta, però, di strumenti giuridici inadeguati ad arrestare un fenomeno dalla portata e dalle implicazioni più svariate: in effetti, è possibile che il malessere di un lavoratore solo apparentemente consegua a comportamenti altrui ovvero può accadere che le condotte esaminate siano formalmente legittime ed incensurabili.
All’evidente necessità di predisporre in materia di mobbing una normativa organica e puntuale, in modo da individuare con esattezza circostanze e rimedi, tenta di sopperire il progetto di legge (Camera dei Deputati) n. 6410 del 1999. Esso si propone di “tutelare i lavoratori da atti e comportamenti ostili che assumono le caratteristiche della violenza e della persecuzione psicologica, nell’ambito dei rapporti di lavoro”.
In particolare, costituiscono mobbing atti e comportamenti dei datori di lavoro ovvero dei soggetti che rivestono incarichi in posizione sovraordinata o pari grado nei confronti del lavoratore, svolti con carattere sistematico e duraturo e con palese predeterminazione, che “si traducono in maltrattamenti verbali e in atteggiamenti che danneggiano la personalità del lavoratore, quali il licenziamento, le dimissioni forzate, il pregiudizio delle progressioni di carriera, l’ingiustificata rimozione da incarichi già affidati, l’esclusione dalla comunicazione di comunicazioni rilevanti per lo svolgimento delle attività lavorative, la svalutazione dei risultati ottenuti”. Il danno psicofisico diviene, però, rilevante soltanto “quando comporta la menomazione della capacità lavorativa, ovvero pregiudica l’autostima del lavoratore che li subisce, ovvero si traduce in forme depressive” (art. 1).
Il p.d.l. non sembra, però, contemplare strumenti sanzionatori di particolare efficacia. E’ prevista infatti soltanto la possibilità di annullare gli atti discriminatori (art. 2), l’obbligo per il datore di lavoro di porre in essere misure idonee al loro superamento (art. 3) e l’applicazione di misure disciplinari a colleghi o superiori (art. 4). Il Legislatore dovrà, quindi, preoccuparsi di rafforzare la tutela del lavoratore.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Vivereoggi” n. 10, dicembre/gennaio 1999

 

DIECI IN CONDOTTA
E’ entrato in vigore il nuovo “Codice di condotta nella lotta contro le molestie sessuali”, sulla base del protocollo d’intesa siglato lo scorso mese di dicembre tra il Ministro del Lavoro e le Organizzazioni sindacali del comparto dei ministeri. Si tratta di un ulteriore passo in avanti verso la piena realizzazione di un ambiente di lavoro ispirato alla serenità e alla correttezza dei comportamenti, a fronte del moltiplicarsi di situazioni di vessazione e di prevaricazione che coinvolgono i dipendenti, che spesso costituiscono veri e propri casi di persecuzione mirata (le ipotesi di “mobbing”). L’accordo è significativo dell’impegno che l’Amministrazione assume nel sostenere il proprio impiegato che sporga denuncia per molestie sessuali, mantenendo la riservatezza sulla procedura di accertamento.
Il Codice definisce, innanzitutto, il concetto di molestia sessuale, qualificata come “ogni atto o comportamento indesiderato, anche verbale, a connotazione sessuale” offensivo della dignità e della libertà della persona ovvero tale da creare ritorsioni o intimidazioni nei confronti di chi lo subisca. Ma non solo: è fatta espressa riserva di inserire, in sede di contrattazione collettiva, un’apposita tipologia di infrazione che contempli le ipotesi di ritorsione o vendetta nei confronti dei denuncianti una molestia sessuale.
Di particolare rilevanza è l’istituzione, nell’ambito dell’organizzazione del personale, della figura del “consigliere di fiducia”, incaricato di tutelare le ragioni del dipendente che lamenti di essere oggetto di attenzioni “particolari”. In tal senso, l’Amministrazione si impegna a concertare il ruolo, l’ambito d’intervento, i compiti ed i requisiti culturali del personale da designare al ruolo di “consigliere”, assicurando specifici strumenti di formazione.
Le modalità di intervento previste sono due: la procedura informale e quella formale. Nel primo caso, il “consigliere” interviene, con la massima riservatezza, presso il presunto autore delle molestie, “facendo presente alla persona che il suo comportamento scorretto deve cessare perché offende, crea disagio ed interferisce con lo svolgimento del lavoro”.
Nel secondo caso, è il dipendente stesso, con l’eventuale assistenza del “consigliere”, a sporgere formale denuncia presso il dirigente dell’ufficio di appartenenza, il quale è tenuto a trasmettere gli atti all’ufficio procedimenti disciplinari per l’avvio della relativa procedura, fatta salva la tutela giudiziaria di cui l’offeso potrà, in ogni caso, avvalersi.
Per favorire il superamento delle situazioni di disagio e ripristinare la serenità nell’ambiente di lavoro, il Codice prevede, altresì, la possibilità di adottare le misure organizzative più utili alla cessazione immediata delle molestie. In particolare, chi denuncia può chiedere il trasferimento ad una diversa sede che non sia disagevole. Se ai fatti denunciati non risultano riscontri, i dipendenti coinvolti potranno domandare trasferimenti temporanei fin quando non sia ristabilito il clima di serenità sul luogo di lavoro.
Allo stato attuale, il Codice è destinato a dispiegare i propri effetti all’interno dell’organizzazione del personale ministeriale. Fondamentale, quindi, sarà la celere estensione dei principi in esso contenuti ai dipendenti delle altre pubbliche amministrazioni, compresi gli enti locali, e ai dipendenti privati.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Vivereoggi” n. 2, marzo 2000.

 

IN AUMENTO LO STALKING
Stalking in aumento, tanto da spingere il Governo a inserirlo nel codice penale. Nel mirino anche le condotte mobbizzanti, intese come atti o comportamenti adottati dal superiore ovvero da colleghi di pari grado o di grado inferiore, con carattere sistematico, intenso e duraturo, finalizzati a danneggiare l’integrità psicofisica del lavoratore. Si riscontrano purtroppo con sempre maggiore frequenza anche nel mondo della scuola, dove pure possono assumere la natura di vere e proprie persecuzioni o stalking che diventa sempre più allarme sociale. Il fenomeno indica una serie di atteggiamenti tenuti da un individuo che affligge un'altra persona, spesso di sesso opposto, perseguitandola ed ingenerando stati di ansia e paura, che possono arrivare a comprometterne il normale svolgimento della quotidianità.
Si ricorda che nell’ambito del Dl 20 febbraio 2009 (<<misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale>>), è stato introdotto il reato di “atti persecutori” (o stalking) – articolo 612bis del codice penale: <<chiunque molesta o minaccia taluno con atti reiterati o idonei a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie scelte o abitudini di vita>>. La norma prevede anche la possibilità che la persona offesa – prima di presentare querela per il reato – chieda al questore l’adozione di un provvedimento di formale ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi, se ritiene fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale, e valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.
Per valutare il mobbing occorre che i comportamenti, anche non autonomamente sanzionabili, siano ripetuti in maniera frequente e duratura, al fine di danneggiare il lavoratore. Le condotte sono quelle che celano una situazione di continua denigrazione della professionalità del dipendente; un’azione persecutoria mirata nei suoi confronti; una violenza psicologica particolarmente accanita; atti e comportamenti che, considerati nel loro insieme sotto il profilo delle norme regolatrici del rapporto di lavoro, determinino l’abusiva ingerenza nelle competenze del dipendente, riducendo marcatamente l’ambito di autonomia operativa che gli compete, con una progressività che sia giunta al punto di creare condizioni ostative alla possibilità di svolgere l’attività lavorativa. Oltre che sul piano della professionalità, è mobbing il comportamento che attacca il dipendente anche sotto il profilo della personalità morale, mediante frasi ingiuriose, diffamatorie e screditanti; reiterate minacce di sanzioni disciplinari; addebiti di responsabilità insussistenti, anche con formali contestazioni, e financo ripicche. Altro parametro di riconoscimento del mobbing è quello della durata degli atti persecutori, che secondo l’orientamento giurisprudenziale deve essere complessivamente superiore a sei mesi.
Una delle modalità tipiche attraverso cui si possono realizzare comportamenti persecutori inquadrabili nel mobbing sono certamente le molestie sessuali commesse dal superiore o da colleghi. E’ opportuno ricordare che per molestie sessuali si devono intendere, oltre che i veri propri tentativi di molestia e gli atti di libidine violenta, anche i corteggiamenti indesiderati, e le c.d. "proposte indecenti". A questo proposito, la definizione di molestia sessuale contenuta nel codice di condotta, allegato alla raccomandazione della Commissione Europea, afferma che per molestia sessuale si intende ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro comportamento basato sul sesso che offende la dignità degli uomini o delle donne nel mondo del lavoro.
Nelle ipotesi di mobbing, e così nella sua accezione di stalking, la fonte della responsabilità dell’autore della condotta lesiva è da ricercare sia nella violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza in ambito extracontrattuale, di cui all’art. 2043 cod. civ.; sia nella responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., per aver omesso di adottare le misure necessarie ad impedire la reiterazione dei comportamenti vessatori da parte del dipendente responsabile, da porre a carico quindi – nel caso di pubblico impiego - all’amministrazione competente. A tale proposito la giurisprudenza chiarisce che nell’azione per il risarcimento dei danni discendenti da una condotta di mobbing, trattandosi di ipotesi di responsabilità al tempo stesso contrattuale ed extracontrattuale della pubblica amministrazione resistente, trova applicazione la disciplina dell'onere probatorio più favorevole al ricorrente, ossia quella contrattuale, con la conseguenza che spetta al datore di lavoro dimostrare di aver posto in essere tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità psico-fisica del dipendente.

Domenico Barboni
Pubblicato su “ Il Sole 24 Ore Scuola” n. 5 del 6-19 marzo 2009
 

 

 LA VITTIMA DEL MOBBING
Il docente dichiarato vittima di una durevole serie di reiterati comportamenti vessatori e persecutori, tali da creare una situazione di sofferenza, che si concreta in un danno ingiusto, incidente sulla persona del lavoratore, e in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psicosomatica, ha diritto al risarcimento da parte dell’amministrazione del danno subito – inteso sia come danno biologico, sia come danno “esistenziale”, quest’ultimo comprendente il nocumento alla professionalità (danno da demansionamento, danno all’immagine) e le sofferenze patite per aver lavorato in un ambiente ostile e pregiudizievole.
La vicenda
Un docente di latino e greco presso un liceo ginnasio statale aveva ottenuto da parte del TAR l’annullamento di una serie di provvedimenti illegittimi relativi al proprio rapporto di servizio nonché di tutte le relazioni ispettive in proprio danno. Con il ricorso di cui è causa il docente, sostenendo che debba evincersi la sussistenza di comportamenti i quali, complessivamente ed unitariamente considerati, configurerebbero nei suoi confronti un’ipotesi di mobbing, chiede al medesimo TAR che condanni l’amministrazione al risarcimento, quale responsabile di tutti i danni biologici ed esistenziali.
Il giudice accoglie la domanda dell’insegnante, ammettendo la responsabilità dell’amministrazione sulla base dei presupposti fattuali e normativi ricavabili dalla precedente sentenza, e condannandola al risarcimento richiesto, quale misura idonea, insieme all’annullamento di provvedimenti illegittimi disposto con la precedente pronuncia, a reintegrare pienamente la posizione giuridica della docente.
Le motivazioni
Il giudice amministrativo adito evidenzia che l’azione proposta è diretta a ottenere il risarcimento del danno da mobbing sul presupposto dell’insufficienza dell’annullamento degli atti precedentemente impugnati ai fini di una piena reintegrazione della posizione giuridica dell’insegnante ricorrente. Invero, gli elementi di fatto accertati in quella precedente decisione delineano un’ipotesi di responsabilità civile da mobbing a carico dell’amministrazione scolastica, presupponendo tale fattispecie, nell’accezione che va consolidandosi in dottrina e giurisprudenza, una durevole serie di reiterati comportamenti vessatori e persecutori, tali da creare una situazione di sofferenza nel dipendente, che si concreta in un danno ingiusto, incidente sulla persona, e in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psicosomatica. Il TAR, con l’occasione, compie un’analisi sui principali elementi imprescindibile per la configurazione del mobbing:
a) la pluralità dei comportamenti e delle azioni a carattere persecutorio (illecite, o anche lecite se considerate in se stesse), sistematicamente e prolungatamente dirette contro il dipendente;
b) l’evento dannoso;
c) il nesso di causalità tra la condotta e il danno;
d) la prova dell’elemento soggettivo.
L’elemento sub a) – la pluralità dei comportamenti e delle azioni a carattere persecutorio, sistematicamente e prolungatamente dirette contro il dipendente – risulta accertato alla stregua dell’ampia ricostruzione operata dal Tribunale nella precedente sentenza: quel giudice aveva riscontrato la sussistenza – nel corso di un lasso di tempo di circa tre anni – di una escalation di comportamenti che ha costituito il contesto e il pretesto per l’azione persecutoria a danno della ricorrente: inizialmente la situazione presentava aspetti di criticità che non superavano la soglia della rilevanza giuridica, ma si risolvevano solamente in una difficile convivenza umana; col tempo, la situazione precipitava con il coinvolgimento di un’ampia platea di soggetti nell’azione di “accerchiamento” dell’insegnante ricorrente, la quale è stata vessata da una serie di provvedimenti amministrativi illegittimi, di rimostranze dei genitori degli allievi, di comportamenti incongrui degli allievi stessi, di atteggiamenti ambigui od ostili dei superiori organi amministrativi e dei colleghi: atteggiamenti tutti interagenti tra loro, e dei quali non è possibile disconoscere un evidente intento complessivamente persecutorio nei confronti della persona della ricorrente medesima. Al riguardo, il giudice peraltro precisa che non è necessario indagare nella loro interezza i motivi che sono alla base dell’intento persecutorio, essendo sufficiente attenersi ai caratteri oggettivi della condotta (ripetitiva, emulativa, pretestuosa e quindi oggettivamente vessatoria e discriminatoria), ai fini di poter considerare dolosi i comportamenti lamentati. Quanto al danno, si concretizza in ultima analisi in una lesione di un diritto della personalità della ricorrente: ai fini della relativa liquidazione, occorre considerare sia il danno biologico, sia il danno “esistenziale”, comprendente il danno alla professionalità (danno da demansionamento, danno all’immagine) e le sofferenze patite dal lavoratore per aver lavorato in un ambiente ostile e pregiudizievole. In relazione alla prova della sussistenza del danno, questa in larga parte è in re ipsa, come per il danno esistenziale e il danno morale inteso come turbamento psichico, attese le notevoli ripercussioni che la prolungata vicenda, con i suoi annessi, ha avuto nella sfera della ricorrente; ed è anche per il danno alla professionalità, nella parte attinente all’immagine professionale; per il resto, essa è documentata in atti, e, con riferimento al danno biologico, in particolare, era stata prodotta una perizia di parte. Per quanto attiene alla misura del dovuto, il Collegio ritiene di dover accedere ad una complessiva liquidazione equitativa, data la difficoltà dell’operazione di calcolo per la presenza di varianti difficilmente determinabili. In danno, infine, viene posto a carico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, nonché del Liceo Ginnasio in solido tra loro. Nulla viene disposto in capo all’ispettore e ai docenti coinvolti, trattandosi di soggetti i quali non risultano evocati in giudizio a titolo personale.

Anna Nardone

Pubblicato su “il sole 24 ore scuola” del 26 novembre 2004.

 

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