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Scrutini e valutazioni

COLLABORAZIONE TRA INVALSI E SCUOLE PER IL SUCCESSO DELLA VALUTAZIONE

Il Ministero dell’Istruzione ha fissato per l’anno scolastico 2011-2012 gli obiettivi della valutazione esterna sui livelli di apprendimento degli studenti che verrà effettuata da INVALSI mediante apposite rilevazioni (direttiva 88/2011).
INVALSI è infatti soggetto alla vigilanza del Ministero dell'istruzione che individua - con periodicità almeno triennale – gli obiettivi strategici del programma di attività dell’Istituto; diversamente, la valutazione delle priorità tecnico-scientifiche è riservata all'Istituto.
Saranno oggetto delle rilevazioni nazionali sui livelli di apprendimento degli studenti le conoscenze e le abilità acquisite in italiano e matematica dagli allievi delle classi seconda e quinta della scuola primaria; prima e terza della scuola secondaria di primo grado; seconda e quinta della scuola secondaria di secondo grado.
Obiettivo di sistema della valutazione esterna degli apprendimenti è quello di promuovere un generale e diffuso miglioramento della qualità degli apprendimenti nel nostro Paese, avendo riguardo, in particolare, agli apprendimenti di base.
Per ciascuna scuola le rilevazioni nazionali consentiranno di acquisire i risultati nazionali di riferimento, e i propri dati aggregati a livello di classe e disaggregati per ogni singolo alunno. Ciò con l’obiettivo di disporre della necessaria base conoscitiva per individuare elementi di criticità in relazione ai quali realizzare piani di miglioramento dell’efficacia dell’azione educativa, e aspetti di qualità da mantenere e rafforzare; apprezzare il valore aggiunto realizzato in relazione al contesto socio-economico-culturale, al fine di promuovere i processi di autovalutazione d’istituto.
Più in generale, per l’Amministrazione scolastica il progressivo consolidamento delle rilevazioni sistematiche e periodiche sugli apprendimenti degli studenti costituirà insostituibile occasione per acquisire e disporre delle serie storiche dei dati sui livelli di apprendimento, che permetteranno di rilevarne l’andamento complessivo nel tempo. Tali informazioni rappresentano la necessaria base conoscitiva per orientare le politiche scolastiche e per definire le azioni di governo del sistema scolastico, con particolare riferimento allo sviluppo dell’autonomia e alla valutazione delle scuole, alla formazione del personale e al miglioramento della didattica.
Per la piena ed efficace realizzazione della rilevazione è indispensabile la collaborazione sia degli Uffici Scolastici regionali e delle loro articolazioni sul territorio, sia delle istituzioni scolastiche, attraverso interventi di informazione all’interno e della scuola e a favore delle famiglie.
A livello di scuola, la collaborazione riguarda la raccolta e l’inserimento dei dati di contesto, la somministrazione delle prove e la trascrizione dei risultati sui fogli risposta, secondo le indicazioni che saranno tempestivamente fornite da INVALSI.
E’ anche previsto un controllo di qualità sulle procedure di somministrazione mediante l’invio di osservatori esterni in un campione di scuole, con il compito di garantire la corretta applicazione del protocollo di somministrazione delle prove, trascrivere i risultati e inviarli a INVALSI. Nelle scuole campione, quindi, gli osservatori esterni provvederanno alla correzione delle prove, con la collaborazione di docenti della scuola titolari degli insegnamenti oggetto della rilevazione, alla trascrizione dei risultati sui fogli risposta e all’inserimento a sistema dei dati.
INVALSI si coordinerà con gli Uffici scolastici regionali, allo scopo di fornire indicazioni a tutte le istituzioni scolastiche statali e paritarie sia in merito alle scuole campione che alla tempistica delle operazioni di somministrazione delle prove.
La produzione delle prove avverrà ad opera di INVALSI, tenendo conto dei metodi condivisi a livello internazionale e ricorrendo alla validazione di ciascuna prova mediante un pre-test.
In ordine alla somministrazione delle prove, che per le classi campione prevede la presenza di osservatori esterni, INVALSI fornisce alle istituzioni scolastiche, con apposita nota tecnica, tutte le necessarie informazioni circa le date e le modalità di svolgimento e correzione delle prove. Ciò per consentire alle scuole di predisporre per tempo le necessarie misure organizzative e ai dirigenti scolastici di assumere le opportune iniziative contrattuali finalizzate a compensare il personale scolastico coinvolto nelle attività di rilevazione.
Alle singole istituzioni scolastiche viene fornito, in forma riservata e in tempi adeguati, un rapporto sui risultati degli apprendimenti relativi alle singole classi e recante l’analisi delle risposte domanda per domanda.
In tal modo la restituzione dei risultati consentirà alle scuole di cogliere l’andamento generale dei livelli di apprendimento e, nel contempo, di evidenziare gli elementi di criticità relativi alle singole classi e aree disciplinari, in relazione ai quali promuovere azioni di miglioramento. Il rapporto evidenzierà anche il valore aggiunto realizzato dalle scuole che costituisce utile base per i processi di autovalutazione di istituto.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Il sole 24 ore Scuola” n. 21 del 25 novembre – 8 dicembre 2011

 

REGISTRI DA COMPILARE CORRETTAMENTE SECONDO CLASSIFICAZIONI TRASPARENTI

I registri, strumento di documentazione delle valutazioni periodiche e annuali degli apprendimenti e dei comportamenti degli studenti, e di certificazione delle competenze da essi acquisite, sono atti pubblici, in virtù del rapporto organico tra la scuola e il docente – cui è affidata la compilazione - e così della funzione pubblica di quest’ultimo.
I registri contengono per ciascuna materia di insegnamento la documentazione – in ordine cronologico e suddivisa per quadrimestre - delle classificazioni orali degli alunni, delle assenze, delle note di condotta, degli incontri con le famiglie, delle votazioni su prove scritte o grafiche. Tale documentazione deve essere ultimata dagli insegnamenti giornalmente. In quanto atti pubblici, i registri esigono il rispetto di imprescindibili principi di obiettività, trasparenza, univocità. Nel dettaglio e praticamente, i voti devono essere annotati contestualmente alle verifiche - scritte e orali -, nelle caselle esattamente corrispondenti alla data in cui le stesse si sono svolte; tutte le annotazioni sono compiute a penna; eventuali cancellazioni vanno controfirmate dall’insegnante; le classificazioni si eseguono utilizzando i voti da uno a dieci; sono eventualmente ammessi simboli diversi, purché di impiego comune e di significato inequivocabile – ovvero, accompagnati da una legenda chiara. Proprio perché accessibili da parte degli interessati – genitori ed alunni - in qualunque momento dell’anno scolastico, devono essere prontamente in grado di documentare in modo fedele, completo, definitivo e trasparente i livelli di apprendimento e di condotta degli studenti. Non sono ammissibili – ma talora, purtroppo, si riscontrano nella prassi - annotazioni provvisorie a matita; valutazioni registrate al di fuori delle caselle corrispondenti alla data della verifica; trascrizioni dei voti successive rispetto alla loro effettiva assegnazione; annotazione di voti nelle caselle corrispondenti a giorni festivi, ovvero a giorni nei quali l’alunno risulta assente; utilizzo di simboli criptici, comprensibili al solo docente; contraffazioni successive o abrasioni.
Un registro viziato negli aspetti illustrati può arrivare ad inficiare lo stesso provvedimento di valutazione finale adottato dal docente della materia, ed ogni atto consequenziale, ivi compresa la delibera del consiglio di classe di scrutinio finale.
In giurisprudenza, si presta molta attenzione alla corrispondenza tra le risultanze di atti diversi – quali il libretto dello studente, sul quale pure vengono riportate le classificazioni dell’alunno con le relative la date ai fini di informare le famiglie; le verifiche scritte, sulle quali ugualmente vengono annotate le valutazioni – e le risultanze dei registri; alla chiarezza con cui dai registri si possono evincere sia le votazioni assegnate, sia le assenze accumulate. Ove sussistano incongruenze ovvero sorgano incertezze, il giudice può ordinare agli insegnanti di rivalutare il giudizio formulato a carico dello studente; e, nei casi più gravi, può disporre l’annullamento e la riforma del giudizio stesso.
A ciò s’aggiunga che, nei casi di contraffazioni o alterazioni più macroscopiche delle registrazioni ad opera dei docenti, questi ultimi possono altresì incorrere nella responsabilità penale per il reato di falsità in atti pubblici: non bisogna dimenticare, infatti, che i registri scolastici, quali atti pubblici, oltre a sottostare ai richiamati principi di obiettività e trasparenza, fanno fede fino a querela di falso in relazione a quanto in essi attestato, godendo pertanto di speciale tutela penale contro le falsificazioni materiali e ideologiche.
Quanto detto vale altresì per il registro di classe, diario sul quale vengono segnate le presenze dei docenti, le assenze degli alunni, la registrazione delle giustificazioni familiari degli alunni, le attività orarie svolte dalla classe, le sanzioni disciplinari comminate agli allievi. E così la natura di atto pubblico riguarda anche i registri delle scuole paritarie: anche i docenti di quegli istituti rivestono la qualifica di pubblici ufficiali, poiché l'insegnamento è una pubblica funzione e le scuole paritarie sono equiparate – sotto il profilo dell’appartenenza al sistema nazionale di distruzione - a quelle pubbliche.
Recentemente, il Consiglio di Stato ha avuto occasione di precisare che i registri, vista la loro natura di atto pubblico, sono intangibili da soggetti terzi, non presenti al momento del fatto annotato e dell'atto della relativa registrazione; e che, quindi, neppure il dirigente scolastico può modificare d’autorità un’annotazione del docente, assistita dalla fede privilegiata dell’atto pubblico (sentenza del 31.1.2011 n. 715).
Nel caso in cui risulti opportuno l’intervento correttivo del dirigente scolastico, resta fermo il suo potere-dovere di agire, ma attivando un procedimento di verifica e riesame, al termine del quale sarà possibile aggiungere un’annotazione decisa dal consiglio di classe. In nessun caso può ipotizzarsi un diretto intervento correttivo del dirigente scolastico sul registro di classe.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 15 del 16 - 29 settembre 2011

 

LA VALUTAZIONE E’ CONTROVERSA

(Sentenze diverse sulla partecipazione dei prof alle verifiche)

 Il tema della partecipazione degli insegnanti di religione alle procedure valutative degli studenti della scuola pubblica è al centro di un notevole dibattito tra chi sostiene che quell’insegnamento debba essere equiparato alle altre materie – anche ai fini degli scrutini finali - e chi pensa invece che debba avere un peso più relativo trattandosi di materia facoltativa, che coinvolge la libertà di coscienza dei singoli. La questione è ancora aperta, e i giudici alternano decisioni di segno opposto.

Da ultimo, il Tar Lazio con sentenza n. 33433 del 15 novembre 2010 ha dichiarato legittima la partecipazione a pieno titolo degli insegnanti di religione cattolica alle deliberazioni per l’attribuzione del credito, esprimendosi in quella sede sull’interesse dimostrato e sul profitto, senza espressione di un voto numerico, e rimanendo perciò estranei alla determinazione della media dei profitti.

Detta decisione prende le distanze dalla  nota sentenza dello stesso Tar Lazio n. 7076 del 2009, che invece aveva annullato le norme ministeriali relative agli anni scolastici 2005/2006 e 2006/2007, nella parte in cui prevedevano che l’impegno e il profitto degli studenti che si avvalessero dell’insegnamento della religione cattolica fossero oggetto di valutazione ai fini dell’attribuzione del credito scolastico. Ciò nella considerazione che l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti o dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, desse luogo ad una precisa forma di discriminazione; e che in una società democratica, al cui interno convivono differenti credenze religiose, certamente può essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un‘implicita promessa di vantaggi didattici, professionali ed in definitiva materiali.

Diversamente argomentando, nella decisione n. 33433/2010 il Tar ha negato che le norme consentano al docente di religione di partecipare a pieno titolo, assieme agli altri docenti, alla valutazione collegiale e periodica degli studenti: egli non esprime un voto, ma si limita a formulare “una speciale nota” su interesse e profitto. Ed anche nelle deliberazioni a maggioranza, il suo voto, se determinante, diviene un giudizio motivato da iscriversi a verbale. Quanto poi al peso delle sue valutazioni sul credito scolastico, il punteggio è influenzato per la parte preponderante dalla media dei voti di profitto, rispetto alla quale il docente di religione cattolica è del tutto estraneo non esprimendo egli alcun voto. Nella sua qualità di componente del consiglio di classe, è solo chiamato, al pari degli altri docenti, a fornire un giudizio sugli ulteriori parametri valutativi - assiduità della frequenza scolastica, interesse e impegno nella partecipazione al dialogo educativo. Neppure la sua partecipazione a pieno titolo al consiglio di classe introduce un elemento discriminatorio nei riguardi degli studenti che non avvalgono di tale insegnamento: infatti, posto che per accordo con la Santa Sede, l’Italia è obbligata ad assicurare l’insegnamento di religione cattolica, e che, in omaggio al principio di laicità dello Stato, detto insegnamento è facoltativo, con la conseguenza che “solo l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo” (Corte cost., sent. n. 203 del 12 aprile 1989), non è irragionevole che il titolare di quell’insegnamento, divenuto obbligatorio in seguito ad un’opzione liberamente espressa, partecipi alla valutazione sull’adempimento dell’obbligo scolastico (cfr. anche CdS, VI, 7 maggio 2010, n. 2749).

Altro discorso è quello relativo all’esclusione degli insegnanti di materie alternative all’insegnamento di religione dal consiglio di classe per l’attribuzione del credito: questa sì – secondo il Tar Lazio – introduce un’evidente discriminazione nei riguardi degli studenti che optino per l’insegnamento alternativo. Anche su quest’ultimo aspetto, la questione è tutt’altro che risolta. 

 Domenico Barboni

 Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 9 del 29 aprile - 12 maggio 2011

 

ASSENZE, SPETTA AL CONSIGLIO DI CLASSE IL CONTROLLO SULL’OBBLIGO DI FREQUENZA

A partire dall’anno scolastico in corso trova piena applicazione per gli studenti di scuola secondaria la disposizione che prevede che ai fini della validità dell'anno scolastico, compreso quello relativo all’ultimo anno di corso, per procedere alla valutazione finale di ciascuno studente è richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell'orario di lezione (previsione contenuta nel d.lgs. 59/2004 e nel Regolamento di coordinamento delle norme per la valutazione degli alunni 122/2009).
In considerazione della varietà delle tipologie dei quadri orario previste nei diversi ordinamenti, il Ministero dell’Istruzione - con CM n. 20/2011 - ha ritenuto opportuno fornire alcune indicazioni finalizzate ad una corretta applicazione della normativa richiamata.
Le norme si propongono la finalità di incentivare gli studenti al massimo impegno di presenza a scuola, così da consentire agli insegnanti di disporre della maggior quantità possibile di elementi per la valutazione degli apprendimenti e del comportamento. Ed invero anche le deroghe al limite minimo di frequenza alle lezioni vengono consentite purché non sia pregiudicata la possibilità di valutazione degli alunni.
Le istituzioni scolastiche, in base all’ordinamento scolastico di appartenenza, vorranno definire preliminarmente il monte ore annuo di riferimento per ogni anno di corso, quale base di calcolo per la determinazione dei tre quarti di presenza richiesti per la validità dell’anno, assumendo come orario di riferimento quello curricolare e obbligatorio. Tenuto conto che le norme parlano espressamente di “orario annuale personalizzato, devono essere considerate, a tutti gli effetti, come rientranti nel monte ore annuale del curricolo di ciascun allievo tutte le attività oggetto di formale valutazione intermedia e finale da parte del consiglio di classe.
Le medesime istituzioni scolastiche possono stabilire, per casi eccezionali, motivate e straordinarie deroghe al suddetto limite dei tre quarti di presenza del monte ore annuale.
Infatti, il principio della frequenza di almeno i tre quarti dell’orario scolastico non è un principio assoluto riducibile ad un mero accertamento aritmetico, ma una prescrizione che mira a contrastare comportamenti ascrivibili a disimpegno dalla vita scolastica. Di qui la possibilità di deroghe motivate in rapporto alle cause che hanno determinato le assenze, fermo restando che debbono comunque sussistere elementi di giudizio sufficienti per la valutazione degli apprendimenti degli alunni.
È compito del consiglio di classe verificare, nel rispetto dei criteri definiti dal collegio dei docenti, se il singolo allievo abbia superato il limite massimo consentito di assenze e se tali assenze, pur rientrando nelle deroghe previste dal collegio dei docenti, impediscano, comunque, di procedere alla fase valutativa, considerata la non sufficiente permanenza del rapporto educativo. Ad ogni buon conto, a mero titolo indicativo e fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, la Circolare 20/2011 ritiene che rientrino fra le casistiche apprezzabili ai fini delle deroghe previste, le assenze dovute a gravi motivi di salute adeguatamente documentati; terapie e/o cure programmate; donazioni di sangue;partecipazione ad attività sportive e agonistiche organizzate da federazioni riconosciute dal C.O.N.I.; adesione a confessioni religiose per le quali esistono specifiche intese che considerano il sabato come giorno di riposo.
Con particolare riferimento alla pratica sportiva agonistica, si è sottolineata l’esigenza del contemperamento fra profitto scolastico e svolgimento di detta pratica, con specifico riguardo agli studenti che svolgono sport invernali a livello agonistico, ma con un orientamento generale che non può non coinvolgere tutte le discipline sportive. La deroga, nel limite della sussistenza di elementi valutativi congrui, si basa infatti sulla generale valenza educativa della pratica sportiva che concorre alla crescita della personalità complessiva degli studenti e non consente di discriminare fra discipline sportive diverse.
L’istituzione scolastica comunica all’inizio dell’anno scolastico ad ogni studente e alla sua famiglia il relativo orario annuale personalizzato e il limite minimo delle ore di presenza complessive da assicurare per la validità dell’anno; pubblica altresì all’albo della scuola le deroghe a tale limite previste dal collegio dei docenti; con una periodicità definita autonomamente da ciascuna istituzione scolastica e comunque prima degli scrutini intermedi e finali, la scuola fornisce altresì aggiornamenti sulla quantità oraria di assenze accumulate.
Infine, il mancato conseguimento del limite minimo di frequenza, comprensivo delle deroghe riconosciute, comporta l’esclusione dallo scrutinio finale e la non ammissione alla classe successiva o all’esame finale di ciclo: di tale accertamento e della eventuale impossibilità di procedere alla valutazione per l’ammissione alla classe successiva o all’esame si dà atto mediante redazione di apposito verbale da parte del consiglio di classe.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 13 del 24 giugno – 7 luglio 2011

 

VERIFICA CON CRITERI OGGETTIVI

 La valutazione degli alunni, pur espressione dell'autonomia e della libertà di insegnamento, deve compiersi con forme e criteri oggettivi, per assicurare omogeneità, equità e trasparenza di giudizio. Gli alunni e le famiglie hanno diritto a ad essere informati sul percorso didattico ed educativo nei diversi momenti dell’anno, anche attraverso una comunicazione più personalizzata, dove esigenze di riservatezza lo richiedano; ma soprattutto hanno bisogno di   giudizi d’immediata e univoca comprensione: da qui il ritorno ai voti numerici già a partire della scuola elementare.

A tal fine, le norme in materia di valutazione sono state recentemente riscritte con regolamento DPR 122/2009, che ha provveduto al coordinamento delle disposizioni vigenti. Il regolamento si cura anche di precisare che minori stranieri comunque presenti sul territorio nazionale, in quanto soggetti all'obbligo d'istruzione, sono valutati nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani.

Anche nella scuola primaria – premesso che la non promozione può essere decisa solo in casi eccezionali e motivati - la valutazione intermedia e finale nelle singole materie viene espressa in voti numerici così come avviene in tutti i Paesi Europei. Solo per l’insegnamento della religione cattolica e per il comportamento viene formulato un giudizio.

Nella scuola secondaria di primo grado le valutazione avvengono sempre per voti numerici, anche per la condotta. L’insegnamento della religione cattolica continua invece ad essere valutato attraverso un giudizio sintetico del docente.

Con riferimento a tutto il primo ciclo di istruzione, nel caso in cui la promozione sia deliberata pur in presenza di carenze nel raggiungimento degli obiettivi, la scuola provvede ad inserire una specifica nota nel documento individuale di valutazione trasmesso alla famiglia.

Infine, nella scuola secondaria di secondo grado, la valutazione è espressa in decimi. Solo la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica è espressa senza attribuzione di voto numerico. Sono ammessi alla classe successiva gli alunni che in sede di scrutinio finale conseguono un voto di comportamento non inferiore a sei decimi – quindi un voto i comportamento insufficiente determina ex se la non promozione -, e una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina. Il consiglio di classe sospende il giudizio degli alunni che non hanno conseguito la sufficienza in una o più discipline, senza riportare immediatamente un giudizio di non promozione, ma comunicando i risultati conseguiti nelle altre materie. A conclusione dei corsi di recupero per le carenze dimostrate, il consiglio di classe, dopo aver accertato il recupero delle lacune formative entro la fine dello stesso anno scolastico, non oltre la data di inizio delle lezioni dell’anno successivo, formula il giudizio finale e l’ammissione alla classe successiva.

Per l’ammissione all’esame di Stato, mentre fino all’anno scolastico 2008/09 era necessaria la media del sei – media nella quale concorreva il voto in condotta -, a partire dall’anno scolastico 2009/10 sono ammessi all’esame di Stato solo gli studenti che conseguono la sufficienza in tutte le materie e in condotta.

Con riferimento alla condotta, la valutazione inferiore a sei decimi in sede di scrutinio intermedio o finale è decisa dal consiglio di classe solo nei confronti dell'alunno cui sia stata precedentemente irrogata una sanzione disciplinare, e comporta  la non ammissione all’anno successivo o agli esami di Stato. Anche una valutazione del comportamento appena sufficiente assume un peso nella carriera scolastica dell’allievo, e va adeguatamente motivata, al pari di quella insufficiente. Più in generale, il voto sul comportamento concorre alla determinazione dei crediti scolastici, e dei punteggi utili per beneficiare delle provvidenze in materia di diritto allo studio, e si propone di favorire l'acquisizione di una coscienza civile basata sulla consapevolezza dei propri doveri e diritti, sul rispetto dei diritti altrui e delle regole che governano la convivenza.

 Domenico Barboni

 Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 13 del 24 giugno – 7 luglio 2011

 

Commento giurisprudenziale

BOCCIATURA ILLEGITTIMA SE MANCA UN DOCENTE
(Il Tar dà ragione al ricorrente perché nel consiglio di classe risultavano assenti due prof di materie oggetto dello scrutinio)

E’ illegittima la non promozione di uno studente se nella riunione del consiglio di classe per lo scrutinio finale era assente un professore, perchè la valutazione periodica e finale degli alunni è di competenza del consiglio di classe nella sua interezza. Così ha deciso il Tar per il Lazio, Sezione Terza Bis, nella sentenza 25 agosto 2010, n. 31634.
La vicenda
Uno studente impugnava il provvedimento di non ammissione alla classe successiva perché nella seduta del consiglio di classe in cui era stato adottato il provvedimento non erano presenti due professori di materie oggetto di scrutinio, come tali effettivi componenti del consiglio stesso. Il Tar ha accolto le ragioni dello studente annullando il provvedimento impugnato sulla base di un vizio nella composizione dell’organo collegiale.
Motivi della decisione
Si premette che, secondo le norme vigenti, il consiglio di classe è costituito da tutti i docenti della classe, e presieduto dal dirigente scolastico. Nell'attività valutativa deve deliberare con la partecipazione di tutti i suoi componenti, essendo richiesto il quorum integrale nei collegi con funzioni giudicatrici. In caso di disaccordo le decisioni devono essere adottate a maggioranza mediante votazione su proposte, senza che sia ammessa l'astensione; pertanto tutti i docenti devono votare e il totale dei voti deve coincidere con il totale dei componenti il consiglio. La natura del collegio in oggetto ha riflessi sull'eventuale sciopero degli scrutini: l'assenza di un solo componente rende impossibile lo svolgimento dello scrutinio. Anche il dirigente scolastico che presiede, essendo a tutti gli effetti un membro del Consiglio, è tenuto a votare. In caso di parità egli non vota due volte, ma prevale la proposta a cui ha dato il suo voto. I docenti di sostegno sono membri del consiglio di classe e nello scrutinio esprimono la loro valutazione per tutti gli alunni per l'ammissione alla classe successiva o all'esame, e per il voto di comportamento di tutti. Fanno parte del consiglio di classe, con pieno titolo a partecipare allo scrutinio, tutti i docenti che operano nella classe, ivi compresi i docenti di sostegno e i docenti di religione. Questi ultimi non esprimono un voto, ma “una speciale nota” riguardante l’interesse e il profitto relativo a detto insegnamento, e nelle deliberazioni a maggioranza, il voto, se determinante, diviene un giudizio motivato da iscriversi a verbale. I docenti di sostegno si esprimono per tutti gli allievi della classe, oltre che per quelli con disabilità. Per l’allievo disabile seguito da più insegnanti di sostegno, questi esprimeranno un unico voto. La valutazione degli apprendimenti e del comportamento in sede di scrutino finale è espressa con voto numerico in decimi. I voti numerici sono riportati anche in lettere nei documenti di valutazione degli allievi. Il voto numerico del comportamento deve essere anche illustrato con specifica nota. Per l’ammissione alla classe successiva gli allievi devono conseguire la sufficienza in ciascuna disciplina e nel comportamento.
Ciò premesso, nella specie, il TAR Lazio ritiene fondato il motivo di ricorso secondo cui nella seduta del consiglio di classe in cui è stato adottato il provvedimento di non promozione non erano presenti due professori. Secondo la vigente normativa sugli organi collegiali della scuola, il docente ha la competenza per la valutazione – nel corso dell’anno - degli apprendimenti dell'alunno in riferimento alla propria materia, mentre l'organo collegiale competente per la valutazione periodica e finale dell'attività didattica e degli apprendimenti dell'alunno è il consiglio di classe con la presenza della sola componente docente nella sua interezza.
Dispongono in proposito gli articoli 5, comma 7, e 193, comma 1, del D.Lgs.16.04.1994, n. 297, che (art. 5 c.7) negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, le competenze relative alla valutazione periodica e finale degli alunni spettano al consiglio di classe con la sola presenza dei docenti, e che (art. 193 c.1) i voti di profitto e di condotta degli alunni, ai fini della promozione alle classi successive alla prima, sono deliberati dal consiglio di classe al termine delle lezioni, con la sola presenza dei docenti. Il consiglio di classe, costituito da tutti i docenti della classe, è presieduto dal dirigente scolastico. Nell'attività valutativa opera come un collegio perfetto e come tale deve operare con la partecipazione di tutti i suoi componenti, essendo richiesto il quorum integrale nei collegi con funzioni giudicatrici. Nel caso in cui un docente sia impedito a partecipare per motivi giustificati il Dirigente scolastico deve affidare l'incarico di sostituirlo ad un altro docente della stessa materia in servizio presso la stessa scuola. Il dirigente scolastico può delegare la presidenza del consiglio ad un docente che faccia parte dello stesso organo collegiale. La delega a presiedere il consiglio deve risultare da provvedimento scritto (è sufficiente l'indicazione anche nell'atto di convocazione dell'organo) e deve essere inserita a verbale.
Osserva il TAR che nell'impugnato provvedimento di non ammissione alla classe successiva compaiono, oltre al "giudizio espresso all'unanimità dal consiglio di classe", anche i voti finali riportati nelle singole materie, tra le quali sono indicate tutte le materie con le relative votazioni finali. Per tutte, quindi, risulta attribuito il rispettivo voto finale, ma, per due di esse, senza che il corrispondente docente sia stato presente alla seduta. Nè risulta la sostituzione dei due professori assenti, e la conseguente delega ad altro docente della potestà di esprimere i relativi giudizi.
Tali materie sono state inserite nel giudizio finale con le rispettive votazioni, ed oltretutto hanno concorso a determinare fatto media: dunque la presenza dei rispettivi docenti, membri a pieno titolo del consiglio di classe - collegio perfetto, era necessaria ai fini della legittimità dell’operato del consiglio stesso. Tanto basta, secondo il giudice amministrativo, per ritenere viziato il provvedimento impugnato, che deve conseguentemente essere annullato ed il ricorso accolto.

Anna Nardone
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 4 del 18 febbraio - 3 marzo 2011

 

Commento giurisprudenziale

SI AI PROF DI RELIGIONE NEL CONSIGLIO DI ISTITUTO
(Gli insegnanti, però, non esprimono alcun voto numerico)

E’ legittima la partecipazione a pieno titolo degli insegnanti di religione cattolica alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico, esprimendosi in relazione all’interesse con il quale l’alunno ha seguito l’insegnamento e al profitto che ne ha tratto, pur non esprimendo alcun voto numerico e rimanendo perciò estranei alla determinazione della media dei profitti. E’ però illegittimamente discriminatoria l’esclusione dal consiglio di classe dei docenti incaricati delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica.
Così decide il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Bis, con sentenza n. 33433 del 15 novembre 2010, prendendo le distanze - per molti versi - dalla precedente decisione del medesimo TAR, Sezione Terza Quater, n. 7076 nel 17 luglio 2009, che annullava le norme ministeriali relative agli anni scolastici 2005/2006 e 2006/2007, nella parte in cui prevedevano che l’impegno e il profitto degli studenti che si avvalessero dell’insegnamento della religione cattolica fossero oggetto di valutazione ai fini dell’attribuzione del credito scolastico. Ciò nella considerazione che “l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti o dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione”.
Motivi della decisione
La questione della partecipazione degli insegnanti di religione alle procedure valutative degli studenti della scuola pubblica è stata al centro di un notevole contenzioso, culminato da ultimo nella citata sentenza del TAR Lazio n. 7076 del 17 luglio 2009 che tacciava come discriminatorio il vigente sistema valutativo, sotto profilo del rilievo dato al giudizio degli insegnanti di religione cattolica in occasione dell’attribuzione del credito scolastico.
Nella vicenda in oggetto, si censurano le norme regolamentari che prevedono che l’insegnante di religione partecipi al consiglio di classe con giudizio determinante, in violazione della libertà di scelta di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica sancito dalla Costituzione, dalla legge e dai patti con la Santa Sede, e ribadito anche dal TAR Lazio con la precitata sentenza n. 7076 del 2009, con la quale si è affermato che “in una società democratica, al cui interno convivono differenti credenze religiose, certamente può essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un‘implicita promessa di vantaggi didattici, professionali ed in definitiva materiali”.
A detto proposito il giudice adito osserva che non è anzitutto rispondente al vero che le norme regolamentari impugnate consentano al docente di religione di partecipare a pieno titolo, assieme agli altri docenti, alla valutazione collegiale e periodica degli studenti della scuola primaria e secondaria: invero il docente di religione non esprime un voto, curando solo e soltanto la redazione di “una speciale nota” riguardante l’interesse e il profitto relativo a detto insegnamento. Ed anche nelle deliberazioni a maggioranza, il suo voto, se determinante, diviene un giudizio motivato da iscriversi a verbale.
Quanto al peso delle valutazioni dell’insegnante di religione nella determinazione del credito scolastico, si osserva che detto punteggio è influenzato per la sua parte preponderante dalla media dei voti di profitto riportati dallo studente nei distinti anni scolastici, rispetto alla quale media il docente di religione cattolica è del tutto estraneo non esprimendo egli, come è pacifico, alcun voto. Il docente di religione, nella sua qualità di componente il consiglio di classe, è invece chiamato, al pari degli altri docenti, a fornire un giudizio sugli ulteriori parametri valutativi - assiduità della frequenza scolastica, interesse e impegno nella partecipazione al dialogo educativo. Consegue che il giudizio del docente di religione si risolve in uno dei molteplici elementi da prendere in considerazione, nell’ambito di un giudizio complessivo della carriera scolastica e sul comportamento dello studente, al fine della possibile attribuzione di un punto aggiuntivo rispetto alla media dei voti conseguiti nello scrutinio finale.
Non è quindi rispondente ad equità una configurazione del credito scolastico sul quale può incidere in maniera significativa il giudizio del docente di religione cattolica.
Dunque neppure è condivisibile la rimostranza secondo cui il docente di religione, con la sua partecipazione a pieno titolo al consiglio di classe per l’attribuzione del credito scolastico, introdurrebbe un elemento discriminatorio nei riguardi degli studenti che non avvalgono di tale insegnamento.
Tanto premesso, atteso che, in forza dell’accordo con la Santa Sede, la Repubblica Italiana si è obbligata ad assicurare l’insegnamento di religione cattolica, e che, in omaggio al principio di laicità dello Stato, detto insegnamento è facoltativo, con la conseguenza che “solo l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo” (Corte cost., sent. n. 203 del 12 aprile 1989), non è irragionevole che il titolare di quell’insegnamento, divenuto obbligatorio in seguito ad un’opzione liberamente espressa, partecipi alla valutazione sull’adempimento dell’obbligo scolastico. ” (cfr. anche CdS, VI, 7 maggio 2010, n. 2749).
Diversamente, il TAR conclude che l’omessa previsione nel regolamento impugnato degli insegnanti di materie alternative all’insegnamento di religione nel consiglio di classe che decide in ordine all’attribuzione del credito scolastico introduca, essa sì, un’evidente situazione discriminatoria nei riguardi degli studenti che optino per l’insegnamento alternativo: un conto è sedere “a pieno titolo” nel consiglio di classe e concorrere alle sue deliberazioni in ordine all’attribuzione del punteggio per il credito scolastico, un conto è fornire preventivamente al consiglio di classe “elementi conoscitivi” sull’interesse e il profitto dimostrati da ciascuno studente, senza poter intervenire.

Anna Nardone
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 1 del 7 - 20 gennaio 2011

 

Commento giurisprudenziale

AMPI MARGINI AI DOCENTI NEL GIUDIZIO DEGLI ALUNNI
(Per il Consiglio di Stato la qualità di formazione e obiettivi è prioritaria rispetto alla promozione)

La potestà affidata all’istruzione pubblica, finalizzata alla migliore formazione culturale degli studenti, risulta esercitabile con margini di discrezionalità tecnica particolarmente ampi, rimessi sia alla sensibilità che all’esperienza del personale docente. Rispetto a tale potestà il giudice può sindacare gli aspetti non solo estrinseci e formali, ma anche relativi all’attendibilità in fatto e in diritto delle operazioni tecniche effettuate, ferma l’intangibilità dell’apprezzamento espresso nel merito dall’Autorità competente. Ugualmente, l’interesse dell’allievo e dei genitori, esercenti la patria potestà, deve identificarsi non nel perseguimento in ogni caso della promozione, ma nel corretto esercizio della potestà pubblica, finalizzata alla migliore possibile formazione culturale degli studenti – ed tale corretto esercizio è soggetto al giudizio dell’autorità giurisdizionale. Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con sentenza del 20.7.2010 n. 4663.
La vicenda
Nella sentenza di primo grado impugnata innanzi al Consiglio di Stato, il giudice respingeva il ricorso contro una non promozione sulla base del rilevo che il Consiglio di Classe avesse agito sulla base di un giudizio prognostico sfavorevole circa la possibilità che l’allievo potesse raggiungere i necessari obiettivi formativi entro il termine dell’anno scolastico.
Il Consiglio di Stato ritiene che anche l’appello non debba trovare accoglimento.
Motivi della decisione
Il giudice di secondo grado sottolinea come oggetto del presente giudizio sia il corretto esercizio della cosiddetta discrezionalità tecnica, ovvero dell’apprezzamento effettuato dall’Amministrazione scolastica sulla base di discipline tecnico-scientifiche riconducibili allo svolgimento dell’attività didattica, implicante valutazione delle conoscenze acquisite dagli allievi e giudizio finale sull’idoneità dei medesimi ad accedere al livello superiore del corso di studi seguito.
In ordine a tale apprezzamento – insindacabile nel merito – la cognizione del giudice Amministrativo ha subito nel corso degli anni una significativa evoluzione, a partire dalla decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 601 del 9.4.1999, con successivo indirizzo giurisprudenziale, che ha evidenziato come spetti a detto giudice – anche in base al principio, di rilievo comunitario, della effettività della tutela – una piena cognizione del fatto, secondo i parametri della disciplina in concreto applicabile.
Nell’ambito del giudizio di legittimità non può infatti non essere valutata, anche attraverso idonea consulenza tecnica, l’eventuale erroneità dell’apprezzamento dell’Amministrazione, ove tale erroneità sia in concreto valutabile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4.12.2009, n. 694); ai fini anzidetti, appare censurabile ogni valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di esattezza o attendibilità, quando non appaiano rispettati parametri tecnici di univoca lettura (cfr. Cons. Stato, sez IV, 13.10.2003, n. 6201).
L’indirizzo sopra sintetizzato si è tradotto nelle formule, di norma utilizzate dalla giurisprudenza, secondo le quali l’esercizio della discrezionalità tecnica deve rispondere ai dati concreti, deve essere logico e non arbitrario. L’orientamento giurisprudenziale indicato mira a garantire, con l’effettività della tutela giurisdizionale, l’esclusione di ambiti che sfuggano a tale tutela, al fine di assicurare un giudizio coerente con i principi di cui agli articoli 24, 111 e 113 della Costituzione, nonché comunitari, secondo cui è necessario che la pretesa fatta valere in giudizio trovi, se fondata, la sua concreta soddisfazione (Corte costituzionale, sent. n. 63 in data 1 aprile 1982). Il giudice deve avere una giurisdizione piena, deve avere cioè, il potere di valutare sia le questioni di fatto che di diritto (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo,10.2.983); il controllo giurisdizionale su un atto amministrativo non deve essere limitato alla compatibilità di esso con l’oggetto e lo scopo della norma attributiva del potere (Corte europea dei diritti dell’uomo, 28.6.1990).
Appare superato in altre parole, nel giudizio in questione, il principio della sindacabilità degli atti discrezionali sul piano del controllo solo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito, dovendo invece tale giudizio estendersi all’attendibilità delle operazioni tecniche effettuate, con possibile eccesso di potere giurisdizionale solo quando l’indagine del giudice si sia estesa alla opportunità o alla convenienza dell’atto, con oggettiva sostituzione della volontà dell’organo giudicante a quella dell’Amministrazione competente in materia, quando la valutazione dell’Amministrazione sia nell’ambito della attendibilità (Cass. 5.8.1994, n. 7261).
In base ai principi generali sopra sintetizzati appare di assoluta evidenza la delicatezza del sindacato giurisdizionale in materia di valutazioni scolastiche, indirizzate non a selezionare i più meritevoli in base a parametri preordinati, come nelle prove concorsuali, ma a garantire un’efficace formazione dei giovani, secondo le finalità proprie dell’istruzione pubblica. Dette finalità possono configurare la non ammissione alla classe superiore non come soccombenza rispetto ad altri soggetti, né come giudizio in assoluto negativo, ma come riconoscimento della necessità che alcuni singoli scrutinati rafforzino le proprie cognizioni di base, per affrontare senza sofferenza e maggiori possibilità l’ulteriore corso degli studi. Correlativamente l’interesse degli alunni deve identificarsi non nel perseguimento in ogni caso della cosiddetta promozione, ma nel corretto esercizio della potestà pubblica, finalizzata alla migliore possibile formazione culturale degli studenti.
Tale potestà risulta esercitabile con margini di discrezionalità tecnica particolarmente ampi, rimessi sia alla sensibilità che all’esperienza del personale docente.
Nella specie, secondo il Consiglio di Stato, i margini non appaiono superati né esercitati in modo incongruo, ma anzi nell’interesse dell’allievo, al fine di garantire una fase più lunga di rafforzamento delle proprie cognizioni e del proprio metodo di studio.

Anna Nardone
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 20 del 26 novembre - 9 dicembre 2010

 

ULTIMI GIORNI PER I RECUPERI
(Guida alla disciplina dei debiti formativi – Le regole per gli incarichi ai prof)

L’attuale disciplina dei debiti formativi di fine anno – ribadita con regolamento sulla valutazione degli alunni di cui al DPR 122/2009 - tre origine dal DM 80 del 3 ottobre 2007 n. 80, che ha provveduto ad una interpretazione della normativa allora vigente più funzionale ed efficace, con particolare riferimento ai tempi e alle modalità di regolazione del saldo dei medesimi debiti formativi, da realizzarsi in data certa.
La riforma è nata dalla considerazione che la valutazione deve contribuire a migliorare la qualità degli apprendimenti e a innalzare i traguardi formativi delle singole istituzioni scolastiche e del paese, e dall’osservazione dell’opportunità che il recupero dei debiti venga effettuato entro la conclusione dell’anno scolastico affinché, oltre a sviluppare negli studenti una maggiore responsabilizzazione rispetto ai traguardi educativi prefissati, garantisca la qualità del percorso formativo e la corrispondenza dei livelli di preparazione raggiunti dalla classe, come prerequisito per la programmazione didattica dell’anno scolastico successivo, favorendo un compiuto e organico proseguimento del corso di studi.
Si prevede così che, nei confronti degli studenti per i quali, al termine delle lezioni, è stato constatato il mancato conseguimento della sufficienza in una o più discipline, che non comporti tuttavia un immediato giudizio di non promozione, il consiglio di classe procede al rinvio della formulazione del giudizio finale. In caso di sospensione del giudizio finale, all’albo dell’istituto viene riportata solo l’indicazione della “sospensione del giudizio”. La scuola comunica subito alle famiglie le decisioni assunte dal consiglio di classe, indicando le specifiche carenze rilevate. Contestualmente vengono comunicati gli interventi didattici finalizzati al recupero dei debiti formativi che la scuola è tenuta a portare a termine entro la fine dell’anno scolastico, le modalità e tempi delle relative verifiche.
A conclusione dei suddetti interventi didattici, di norma entro il 31 agosto dell’anno scolastico di riferimento, salvo particolari esigenze organizzative delle istituzioni scolastiche, e comunque non oltre la data di inizio delle lezioni dell’anno scolastico successivo, il consiglio di classe, in sede di integrazione dello scrutinio finale, procede alla verifica finale, tenendo conto dei risultati conseguiti dallo studente non soltanto in sede di tale accertamento finale, ma anche nelle varie fasi dell’intero percorso dell’attività di recupero. Il consiglio di classe, alla luce della verifica effettuata secondo i criteri indicati, delibera l’integrazione dello scrutinio finale, espresso sulla base di una valutazione complessiva dello studente, che, in caso di esito positivo, comporta l’ammissione dello stesso alla frequenza della classe successiva. In tale caso, risolvendo la sospensione di giudizio, vengono pubblicati all’albo dell’istituto i voti riportati in tutte le discipline con l’indicazione “ammesso”. In caso di esito negativo del giudizio finale, sulla base di una valutazione complessiva dello studente, il relativo risultato viene pubblicato all’albo dell’istituto con la sola indicazione “non ammesso”.
Nei confronti degli studenti valutati positivamente in sede di verifica finale al termine del terz’ultimo e penultimo anno di corso, il Consiglio di classe procede altresì all’attribuzione del punteggio di credito scolastico.
Il piano dell’offerta formativa di ciascuna istituzione scolastica definisce le modalità di recupero e di verifica dell’avvenuto saldo dei debiti formativi. I criteri per l’utilizzazione del personale docente e non docente da impiegare nelle attività di recupero e le modalità di attribuzione dei relativi compensi sono definiti in sede di contrattazione nell’ambito delle risorse specificamente dedicate agli interventi di recupero didattici ed educativi confluite nel fondo di istituto delle singole istituzioni scolastiche, e delle ulteriori risorse che verranno destinate alle medesime istituzioni scolastiche a carico del Ministero della Pubblica Istruzione.
Con particolare riferimento all’anno scolastico da poco concluso, gia dal mese di dicembre alle Istituzioni scolastiche sono state assegnate le risorse per il finanziamento degli istituti contrattuali, da orientare prioritariamente agli impegni didattici in termini di flessibilità, ore aggiuntive d’insegnamento, di recupero e di potenziamento. Su queste risorse le scuole possono fare affidamento per lo svolgimento di attività aggiuntive da parte dei propri docenti interni, ivi comprese le attività destinate agli interventi di recupero e di verifica finale. Sono altresì disponibili specifiche risorse finanziarie per il pagamento del personale esterno che potrebbe essere impegnato nei predetti corsi di recupero - fermo che il ricorso a personale esterno è consentito nell’impossibilità (e non dall'indisponibilità volontaria) di avvalersi del personale interno per lo svolgimento dell’attività didattica in argomento, programmata dalle scuole.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 14 del 3 - 16 settembre 2010

 

CONDOTTA, VOTO DA GESTIRE
(Tutte le regole per l’attribuzione e la classificazione del comportamento)

A decorrere dall’anno scolastico 2008/2009, la valutazione del comportamento concorre, unitamente a quella relativa agli apprendimenti nelle diverse discipline, alla valutazione complessiva dello studente, e così alla determinazione del credito scolastico. Una votazione sul comportamento inferiore a sei decimi espressa in sede di scrutinio finale comporta la non ammissione dell’allievo all’anno successivo e all’esame conclusivo del ciclo.
Per effetto della legge 30.10.2008, n. 169 - "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università" – si è realizzata una riforma dei criteri e delle finalità della valutazione del comportamento degli studenti nelle scuole secondarie di I e II grado.
Il consiglio di classe valuta - mediante l’attribuzione di un voto numerico espresso in decimi – il comportamento degli allievi sulla scorta di un giudizio complessivo di maturazione e di crescita civile e culturale dello studente; e in quel contesto vanno collocati anche singoli episodi che abbiano dato luogo a sanzioni disciplinari. Il collegio dei docenti definisce modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità e trasparenza della valutazione, anche con riferimento al comportamento degli studenti; detti criteri e modalità fanno parte integrante del piano dell'offerta formativa.
L’attribuzione del voto sul comportamento ha una valenza formativa ed educativa, e presenta le seguenti prioritarie finalità: accertare i livelli di apprendimento e di consapevolezza raggiunti, con specifico riferimento alla cultura e ai valori della cittadinanza e della convivenza civile; verificare la capacità di rispettare il complesso delle disposizioni che disciplinano la vita di ciascuna istituzione scolastica; diffondere la consapevolezza dei diritti e dei doveri degli studenti all’interno della comunità scolastica.
In particolare, la valutazione insufficiente del comportamento, soprattutto in sede di scrutinio finale - viste le conseguente trancianti -, deve scaturire da un attento e meditato giudizio del consiglio di classe, esclusivamente in presenza di comportamenti di particolare gravità riconducibili alle fattispecie per le quali si prevedano l’irrogazione di sanzioni disciplinari che comportino l’allontanamento temporaneo dello studente dalla comunità scolastica per periodi superiori a quindici giorni.
Anche una valutazione del comportamento appena sufficiente assume un peso rilevante nella carriera scolastica dell’allievo, e va adeguatamente motivata, al pari di quella insufficiente. A questo proposito, si è osservato in giurisprudenza che, mentre il voto delle singole materie è volto ad esprimere un giudizio didattico, ossia relativo al processo di apprendimento, e deve essere giustificato e sorretto da una motivazione riferibile all'avvenuta acquisizione delle nozioni previste dai programmi formativi (quindi è un voto che esprime la valutazione di una corrispondente situazione oggettiva di fatto e come tale va inteso, secondo i principi generali in tema di motivazione di un atto amministrativo), il voto in condotta, invece, esprime un giudizio più lato che investe sia la maturità personale complessiva della persona, sia la sua capacità di interazione con l'ambiente, nonché il grado di inserimento in quel sistema di valori che, sulla base della Carta Costituzionale, sono da considerarsi fondanti della società e del vivere civile. Dunque, quest'ultimo è un giudizio che è relativo ad una condizione soggettiva della persona non solo attuale, ma anche in prospettiva, in itinere. Ciò comporta due conseguenze. La prima è che la sufficienza in condotta va ricondotta ad una motivazione più lata di un voto di apprendimento e, dunque, può essere legittimamente sorretta da un apprezzamento avente un maggiore contenuto valutativo e discrezionale (nel senso che implica anche giudizi di opportunità sulle condizioni e sulle prospettive educative della ragazza o del ragazzo cui è attribuito): per tale ragione, può essere attribuita anche a seguito di un singolo e specifico episodio, magari di per sé anche non grave, ma che, alla luce del contesto complessivo della situazione della classe, si riveli espressivo di una abitudine, o di una tendenza negativa, suscettibile, a sua volta, di denotare un inserimento solo sufficiente nel sistema di valori che è proprio dell'ordinamento, e, dunque, della comunità scolastica; o che implichi anche solo l'opportunità di inserire nel percorso educativo degli allievi, in quel determinato contesto storico, un elemento di forte richiamo alle responsabilità cui li si vuole educare. La seconda è che la sufficienza in condotta impegna, vincolandone l'operato, la comunità scolastica, prima ancora che lo studente o la studentessa che la ricevono, a porre in essere idonei programmi, strumenti ed occasioni di intervento per trasformare quella sufficienza in un voto pieno; all'adozione di tali strumenti ed alla loro effettiva esecuzione, le famiglie degli studenti hanno interesse legittimo che è tutelabile nelle apposite sedi, anche giurisdizionali.

Domenico Barboni

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 6 del 19 marzo - 1 aprile 2010

 

IL SEI IN CONDOTTA VA MOTIVATO
(Norme più severe e nuovi criteri per l’assegnazione dei giudizi)

Secondo le norme vigenti le valutazioni periodiche e finali degli apprendimenti sono effettuate dal consiglio di classe, formato dai docenti della classe e presieduto dal dirigente scolastico o da suo delegato, con deliberazioni assunte, ove necessario, a maggioranza. I docenti di sostegno, contitolari della classe, partecipano alla valutazione di tutti gli alunni. Il personale docente esterno e gli esperti di cui si avvale la scuola, che svolgono attività o insegnamenti per l’ampliamento e il potenziamento dell’offerta formativa, ivi compresi i docenti incaricati delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica, forniscono preventivamente ai docenti della classe elementi conoscitivi sull’interesse manifestato e il profitto raggiunto da ciascun alunno.
La valutazione periodica e finale del comportamento degli alunni è espressa in decimi. La valutazione del comportamento concorre alla determinazione dei crediti scolastici e dei punteggi utili per beneficiare delle provvidenze in materia di diritto allo studio. La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica è espressa senza attribuzione di voto numerico. I periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro fanno parte integrante dei percorsi formativi personalizzati. Sono ammessi alla classe successiva gli alunni che in sede di scrutinio finale conseguono un voto di comportamento non inferiore a sei decimi – di talchè un voto i comportamento insufficiente determina ex se la non promozione -, e una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l’attribuzione di un unico voto secondo l’ordinamento vigente - ferma la sospensione del giudizio degli alunni che non hanno conseguito la sufficienza in una o più discipline, senza riportare immediatamente un giudizio di non promozione, con successivi interventi didattici programmati per il recupero delle carenze rilevate, e formulazione del giudizio finale verifica dei risultati conseguiti dall’alunno e alla formulazione del giudizio finale che, in caso di esito positivo, comporta l’ammissione alla frequenza della classe successiva e l’attribuzione del credito scolastico.
Si rileva, a proposito del voto sul comportamento, che per effetto del dl 137/2008 si è realizzata una riforma dei criteri e delle finalità della valutazione del comportamento degli studenti nelle scuole secondarie. Il consiglio di classe valuta - mediante l’attribuzione di un voto numerico espresso in decimi – il comportamento degli allievi sulla scorta di un giudizio complessivo di maturazione e di crescita civile e culturale dello studente. In particolare, la valutazione insufficiente del comportamento, soprattutto in sede di scrutinio finale - viste le conseguente trancianti -, deve scaturire da un attento e meditato giudizio del consiglio di classe, esclusivamente in presenza di comportamenti di particolare gravità.
Anche una valutazione del comportamento appena sufficiente assume un peso nella carriera scolastica dell’allievo, e va adeguatamente motivata, al pari di quella insufficiente. Peraltro, il peso del voto (sufficiente) assegnato è relativo, posto che il voto di condotta, concorrendo a determinare la media finale, influisce solo sulla determinazione del credito scolastico e sulla possibilità di accedere alle provvidenze legate al diritto allo studio; non più sull’ammissione alla classe successiva, in quanto l’ammissione stessa esige la media del sei in tutte le discipline, e comunque il saldo di tutti i debiti formativi; e neppure ai fini dell’ammissione all’esame di stato. A tale ultimo proposito, infatti, a partire dalla scorsa sessione d’esame è entrata in pieno vigore la norma che prevede l’ammissione agli esami di Stato dei soli studenti che nello scrutinio finale, abbiano conseguito una votazione non inferiore a sei in tutte le materie e in condotta, escludendo la possibilità di ammissione agli esami con la sola media del sei: la sufficienza deve essere conseguita dallo studente in ogni singola disciplina.

Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 14 del 3 - 16 settembre 2010

 

LE DECISIONI INCIDONO DI PIU’
(Da 6 a 10, la scala di valori che influisce sulla media finale)

In base a quanto disposto dalle nuove norme, la valutazione del comportamento entra a far parte della media finale ai fini dell'attribuzione dei crediti scolastici, ditalchè l’attribuzione del voto di condotta va effettuata sull’intera scala decimale – con un voto, teoricamente, da uno a dieci, e verosimilmente, dal cinque al dieci.
Quella della scala di valori cui riferirsi, da parte dei consigli di classe, nell’assegnazione del voto di condotta, è una questione sinora piuttosto sottovalutata. Fino alla recente riforma, tali valori, in termini positivi, erano riferiti ai voti otto, nove e dieci, mentre i voti sette e sei (per altro assegnato in casi del tutto eccezionali), erano considerati negativi. Per effetto delle nuove disposizioni, questi due ultimi punteggi – sei e sette – diventano anch’essi valori positivi, e il quadro delle valutazioni della condotta appare assai più articolato di prima. E’ quindi auspicabile che i consigli di classe si determinino, ragionevolmente, ad utilizzare l’intera gamma dei cinque punti positivi disponibili – sei, sette, otto, nove, dieci - e non si limitino a trasferire meccanicamente i tre punteggi che rappresentavano in passato i valori postivi della condotta - otto, nove e dieci - nel sei, sette e otto, a discapito della chiarezza e della trasparenza delle decisioni.
Solo così il calcolo della media dei voti, ora inclusiva di quello di condotta, può concretamente confermare il valore di premio del voto di comportamento – proprio dell’intenzione del legislatore - nei confronti di quegli alunni che rispondono positivamente al confronto con i valori della cultura, della cittadinanza e della convivenza civile, e con la consapevolezza dei propri diritti e doveri anche all’interno della comunità scolastica, e che pure manifestino qualche difficoltà in sede di profitto nelle diverse discipline; e, contestualmente, di penalizzazione per quelli meno virtuosi sotto il profilo comportamentale – nel senso precisato, anche se migliori in termini di profitto. Peraltro, la questione ha un peso relativo, perché – come ricordato – il voto di condotta, concorrendo a determinare la media finale, influisce solo sulla determinazione del credito scolastico e sulla possibilità di accedere alle provvidenze legate al diritto allo studio; non più sull’ammissione alla classe successiva, in quanto l’ammissione stessa esige la media del sei in tutte le discipline, e comunque il saldo di tutti i debiti formativi; e neppure ai fini dell’ammissione all’esame di stato.
A tale ultimo proposito, infatti, a partire da quest’anno entra in pieno vigore la norma che prevede l’ammissione agli esami di Stato dei soli studenti che, nello scrutinio finale, abbiano conseguito una votazione non inferiore a sei in tutte le materie e in condotta, escludendo la possibilità di ammissione agli esami con la sola media del sei: la sufficienza deve essere conseguita dallo studente in ogni singola disciplina. Già dalla sessione 2009 l’ammissione agli esami era consentita agli studenti che riportassero la media del sei, anche con riferimento al voto di condotta – che se inferiore a sei decimi, comportava la non ammissione all’esame di Stato. Prima ancora, l’istituto dell’ammissione – reintrodotto con la legge 1/2007 - era applicato nel senso che in sede di scrutinio finale il consiglio di classe decideva sull’ammissione previa valutazione complessiva dello studente, anche in presenza di valutazioni non sufficienti nelle singole discipline.
Ricordiamo infine che con l’obbligo della non ammissione alla classe successiva o all’esame conclusivo del ciclo di studi di quegli studenti che abbiano conseguito un voto inferiore a sei decimi, le nuove disposizioni ripristinano, almeno in parte, quanto stabilito a suo tempo con il R.D. 653/1925: “Gli alunni che non riportino almeno sei decimi nello scrutinio finale per la condotta sono esclusi dalle prove di riparazione per la promozione e dalla prima sessione per tutti gli altri esami, compresi quelli di maturità e abilitazione.” Tali norme, com’è noto, erano state soppresse con l’approvazione dello Statuto delle studentesse e degli studenti nel 1998.

Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 6 del 19 marzo - 1 aprile 2010

 

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