Pubblica amministrazione
SCUOLE ALLA PROVA ON LINE
(Nuovo codice dell’amministrazione digitale: gli effetti dell’applicazione)
Con l’entrata in vigore, all’inizio di quest’anno, del nuovo Codice dell’amministrazione digitale si preparano anche per il mondo della scuola significativi cambiamenti sotto il profilo della diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (cfr. Decreto legislativo. 30-12-2010 n. 235).
E’ una prova non facile quella che attende nei prossimi mesi dirigenti scolastici, direttori dei servizi generali e amministrativi e loro collaboratori, perchè non sono poche le conseguenze organizzative, gestionali e di responsabilità che il nuovo codice della digitalizzazione porta con sé, anche con riferimento ai rapporti scuola – personale scolastico, scuola – alunni e famiglie.
Il codice afferma il diritto di tutti i cittadini a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni.
Per le scuole ciò si traduce, ad esempio, nel diritto del personale, degli studenti e delle famiglie a ricevere comunicazioni e circolari via e-mail; alla possibilità di utilizzare posta elettronica certificata; all’introduzione della firma digitale. Ferma, si intende, la tutela della riservatezza, secondo le prerogative previste dalle norme vigenti in materia, garantita anche in questo momento di sviluppo delle tecnologie delle comunicazioni e delle informazioni.
La digitalizzazione ad oggi ha portato alla consegna agli istituti scolastici di oltre 22.000 lavagne interattive multimediali e la realizzazione di un portale - ScuolaMia - che offre servizi digitali alle famiglie. Nelle Università, in 55 atenei sono state attivate iniziative per incrementare la copertura WiFi e l’adozione di servizi ondine; e per il futuro, si prevedono ulteriori misure di semplificazione della comunicazione amministrativa, quali l’iscrizione online, la verbalizzazione elettronica degli esami, il fascicolo personale dello studente, l’automazione dei flussi informativi.
L’obiettivo temporale del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione è l’anno 2012: per allora tutte le pubbliche amministrazioni – e quindi anche per le scuole - avranno l’obbligo di dialogare tra loro e con i cittadini e le imprese in via digitale, con graduale scomparsa di carte e archivi, e aumento della trasparenza, della produttività, dell’economicità e dell’efficienza.
Per venire incontro alle esigenze degli istituti scolastici, si attivano da più parti corsi di formazione per dirigenti e direttori che si propongono di fare il punto sulle principali innovazioni introdotte dal codice dell’amministrazione digitale e sulla loro applicazione all’attività scolastica, fornendo concrete indicazioni operative su come adottare le raccomandazioni e le indicazioni formulate dal codice; su quali forme di collaborazione attivare con gli enti locali per la firma digitale, la posta elettronica certificata (PEC),; su come valutare l’impatto in termini di costi e di risparmi.
Oltre a ciò, vengono elaborati sistemi informatici di archiviazione digitale, per la gestione di documenti in formato elettronico. Si ritiene che l’archiviazione digitale rappresenti per la scuola una forma di risparmio che permette di dare più velocità, sicurezza e accessibilità nella gestione dei documenti. Essa consente rintracciabilità in tempo reale di tutti i documenti, riduzione dei costi di ricerca, sicurezza degli accessi e controllo delle attività sui documenti archiviati, flessibilità di gestione dei documenti e quindi trasmissione telematica degli stessi; non ultimo, consente un risparmio del consumo della carta, con salvaguardia del patrimonio boschivo e alla sostenibilita' ambientale. Attraverso gli strumenti digitali sarà possibile nel prossimo futuro eliminare i registri cartacei, e gestire molti documenti elettronicamente.
Ancora una volta, il processo di modernizzazione della scuola reclama un efficace formazione del personale e un serio investimento nei supporti materiali.
Ad oggi, non mancano ottimi esempi di percorsi di digitalizzazioni indirizzati verso l’innovazione della didattica scolastica, con progetti che prevedono la consegna a studenti e docenti delle classi prima di mini personal computer contenenti materiale didattico in formato digitale, modulare e interattivo, che sostituisca - prima in parte e poi completamente - i tradizionali libri di testo e in grado, quindi, di rivoluzionare sia le modalità di insegnamento che di apprendimento. Tali strumenti, uniti alla rete Wifi, alle lavagne digitali e ai videoproiettori consentono di tenere lezioni interattive, che possono, quindi, arricchirsi anche di contenuti multimediali disponibili online. Per finire, i tradizionali registri di carta (di classe e dei professori) sono sostituiti da registri completamente elettronici, mentre gli studenti sono dotati di badge per la registrazione automatica di ingressi, uscite ed assenze. Finora sono poche le scuole che hanno raggiunto questi traguardi, ma l’auspicio è che vengano imitate da molte altre nel futuro prossimo.
Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 4 del 18 febbraio - 3 marzo 2011
PROGRAMMATI PREMI E SANZIONI
(Monitoraggio e misure incentivanti per la semplificazione)
Il codice dell'amministrazione digitale, approvato con decreto legislativo 235/2010, rinnova la disciplina in materia di amministrazione digitale definita nel codice del 2005. Esso mira a completare quel processo di rinnovamento avviato dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione con la c.d. riforma Brunetta del 2009, che ha consolidato i principi di meritocrazia, premialità, trasparenza e responsabilità.
Il codice propone una pubblica amministrazione moderna e digitale, attraverso importanti innovazioni normative che vanno a incidere concretamente su comportamenti, prassi delle amministrazioni e qualità dei servizi. Le aspirazioni dei cittadini a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni diventano veri e propri diritti, cui corrispondono obblighi per le amministrazioni di dialogare tra loro e con i cittadini e le imprese in via digitale, con graduale scomparsa di carte e archivi, aumento della trasparenza, della produttività, dell’economicità e dell’efficienza, ed effettive garanzie di sicurezza circa la validità, anche giuridica, dell'amministrazione digitale. L’obiettivo temporale per la realizzazione di tutto questo è l’anno il 2012.
Secondo il calendario ministeriale, già nei prossimi mesi cittadini privati e imprese potranno comunicare con tutte le amministrazioni centrali e territoriali tramite la PEC; consultare i siti istituzionali completi di informazioni aggiornate; contare sulla piena validità dei documenti informatici, con graduale abbandono dei supporti cartacei; fornire una sola volta i propri dati alla pubblica amministrazione, la quale dovrà poi curarsi dell'accessibilità delle informazioni alle altre PA richiedenti.
Il raggiungimento di tale obiettivo viene incentivato dall’introduzione di misure premiali e sanzionatorie che agevolano le amministrazioni virtuose e sanzionano le amministrazioni inadempienti; e così dalla possibilità di impiegare i proventi della razionalizzazione e dell'informatizzazione per il finanziamento di progetti di innovazione, e per l'incentivazione del personale.
Questi, in sintesi, i principali cambiamenti introdotti dalla riforma del codice dell’amministrazione digitale, così come illustrati dallo stesso Ministro Brunetta nel corso della conferenza stampa di presentazione del codice: validità dei documenti indipendentemente dal supporto, attraverso un sistema di contrassegno generato elettronicamente e stampato direttamente dal cittadino dal proprio computer per sancire la conformità dei documenti cartacei a quelli digitali; validità dei diversi documenti informatici; conservazione digitale dei documenti; posta elettronica certificata, come mezzo più veloce, sicuro e valido per comunicare con le PA: i cittadini possono utilizzare la PEC anche come strumento di identificazione, evitando l'uso della firma digitale; siti pubblici istituzionali più trasparenti, dove siano pubblicati in modo integrale anche tutti i bandi di concorso, dati e notizie sempre aggiornate; idonei strumenti per la rilevazione immediata, continua e sicura del giudizio dei cittadini sui servizi ondine; moduli e formulari on line, con divieto per le amministrazioni di richiedere moduli diversi da quelli pubblicati sul web; trasmissione delle informazioni via web; comunicazioni tra imprese e amministrazioni; firma elettronica avanzata, con cui è possibile sottoscrivere un documento informatico con piena validità legale, e liberalizzazione del mercato delle firme digitali; carta di identità elettronica e carta nazionale dei servizi valide ai fini dell'identificazione elettronica; pagamenti elettronici; protocollo informatico delle comunicazioni inviate tramite PEC tra le pubbliche amministrazioni e tra queste e i cittadini o le imprese; basi dati di interesse nazionale; sicurezza digitale; open data, con conseguente responsabilità delle pubbliche amministrazioni nell'aggiornare, divulgare e permettere la valorizzazione dei dati pubblici secondo principi, fruibili e riutilizzabili.
Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 4 del 18 febbraio - 3 marzo 2011
CIFRE DIFFICILI DA RECUPERARE
(Molti meccanismi rendono arduo il rientro dei soldi allo Stato)
In giurisprudenza si è consolidato il principio – espressa con riferimento ad indebiti anche non pensionistici - che la ripetizione delle somme erroneamente corrisposte dall'amministrazione al pubblico impiegato debba essere soggetta, per il principio dell'affidamento e sul presupposto dello stato di buona fede del dipendente, a ponderazione di interessi, in relazione al tempo trascorso, all'entità della prestazione pecuniaria da ripetere, alla presumibile destinazione della somma al soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27.12.2004, n. 8233; T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 5.2.2010, n. 635; T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, 1.8.2006, n. 2255; TAR Toscana Firenze Sez. I, 30.5.2006, n. 2549; TAR Lazio, Roma, Sez. III, n. 14819/2005; TAR Venezia, 26.2.2003 n. 1569).
Secondo tale opinione, il recupero del credito erariale non è una conseguenza necessaria e automatica dell'annullamento e/o riforma dell'atto attributivo di un trattamento economico, ma è un effetto autonomo. La discrezionalità del recupero va ricollegata al fatto che la ripetizione dell'indebito dell'amministrazione è sì oggetto di un'obbligazione comune del dipendente, ma comunque è connessa ad un rapporto in essere con un'amministrazione, e come tale non può sottrarsi al generale principio della tutela dell'affidamento che disciplina l'azione amministrativa. Il principio di tutela dell’affidamento è ricollegabile all'obbligo di correttezza di cui è espressione la ponderazione degli interessi, ed ha avuto – nell’elaborazione giurisprudenziale - numerose applicazioni di specie. Il medesimo principio trova specifiche ragioni di applicazione nell’ipotesi di ripetizione dell'indebito dell'amministrazione, in quanto: il percipiente in buona fede ha regolato il suo comportamento su quello dell'amministrazione, presunto legittimo; lo stato soggettivo di buona fede del percipiente nell'indebito oggettivo è rilevante a determinati effetti (frutti, interessi) anche secondo il diritto comune (art. 2033 cod. civ.); l'obbligazione di restituire somme di denaro indebitamente percepite, ma che presumibilmente sono state destinate al consumo, incide su esigenze primarie dell'esistenza, che il principio della retribuzione sufficiente di cui all'art. 36 Cost. prende in specifica considerazione e tutela.
E’ perciò illegittimo il provvedimento di ripetizione dell’indebito assunto dall’amministrazione nonostante lo stato di buona fede del dipendente, l'entità della somma da ripetere, e la evidente incisione che la ripetizione arrecherebbe al soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita.
Non solo. Della ponderazione degli interessi – secondo i principi di correttezza, a tutela dell’affidamento, della buona fede e delle esigenze primarie di vita del pensionato - l’amministrazione deve rendere puntuale conto nella motivazione del provvedimento di recupero, pena l’illegittimità del provvedimento stesso.
Nel concreto, lo stato di buona fede e l’affidamento è desumibile in primo luogo dal protrarsi nel tempo dell’errore dell’amministrazione, che peraltro incide in modo determinante sull’importo preteso; rileva poi, appunto, l’entità della somma da ripetere e l’evidente incidenza che il recupero, anche frazionato, arreca al soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita del dipendente, tantopiù grave, ove si consideri che gli importi sono generalmente destinati ai consumi primari. Pesa infine il difetto di motivazione, allorchè il provvedimento di recupero impugnato omette ogni riferimento alle esigenze sin qui illustrate, e/o ad eventuali altre di segno opposto meritevoli di favore.
Un equo apprezzamento degli interessi di specie, alla luce dei principi di tutela della buona fede, della correttezza e dell’affidamento; dei modi e dei tempi impiegati all’amministrazione per giungere all’accertamento del preteso indebito; dell’entità dell’importo da ripetere; e infine del suo impiego per la soddisfazione di esigenze primarie di vita, porti spesso i giudici – s’è detto - a concludere per l’illegittimità del recupero.
Domenico Barboni
(Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 5 del 4 -18 marzo 2011)
POSSIBILE CHIEDERE IL TEST PER L’INFERMITA’ SE L’AMMINISTRAZIONIE RITARDA LA VERIFICA
La disciplina del riconoscimento della causa di servizio è stata semplificata con l’approvazione del regolamento 461/2001 - e successive modifiche e integrazioni - che ha previsto un solo e definitivo provvedimento sulla dipendenza dell’infermità contratta dal dipendente da una causa di servizio, adottato dall’amministrazione di appartenenza su conforme parere del Comitato di verifica per le cause di servizio, valevole sia ai fini dell’equo indennizzo, sia ai fini della pensione privilegiata – salvo il giudizio sull’invalidità al servizio.
La causa di servizio è l’istituto che tutela tutti i dipendenti pubblici, e perciò il personale della scuola, per infermità, lesioni, e/o aggravamenti di infermità e lesioni preesistenti di cui il servizio sia stata causa diretta o concausa necessaria e preponderante.
Il dipendente, qualora l’amministrazione non proceda d’ufficio, ha facoltà di chiedere l’accertamento della dipendenza da causa di servizio anche ai soli fini del riconoscimento dello status di invalido per servizio, ai fini dei benefici economici previsti dalla legge (incremento percentuale della base stipendiale; contribuzione figurativa), ovvero ai fini della concessione dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata.
Com’è noto, l’equo indennizzo è un beneficio di natura risarcitoria che l'amministrazione dispone una tantum al dipendente che, per causa di servizio, abbia contratto un'infermità o subito una menomazione. L'importo è pari al doppio dello stipendio in godimento, per le infermità relative alla Tabella A allegata al DPR 834/1981; l’importo varia, ma è comunque inferiore, negli altri casi; s’aggiunga che comunque è possibile risarcire solo le infermità elencate nelle Tabelle A e B citate. La cifra inoltre si riduce se il docente ha più di 50 anni (25%), e più di 60 (50 %); e se l'insegnante ha ottenuto la pensione privilegiata (50%). In caso di contemporaneo diritto ad una rendita dell’INAIL – che, rispetto all’equo indennizzo, rappresenta una forma di tutela distinta che prende in considerazione eventi diversi e cause lesive che si fondano su presupposti distinti - le due indennità risultano compatibili ma non cumulabili. Pertanto, nel caso in cui per lo stesso evento lesivo siano state liquidate entrambe le prestazioni è facoltà del dipendente scegliere l’una o all’altra fattispecie di indennizzo. Va inoltre ricordato che viene detratto dall’equo indennizzo quanto eventualmente percepito dal dipendente in virtù di altre assicurazione a carico dello Stato o di altra pubblica amministrazione.
La pensione privilegiata è invece un trattamento economico erogato al dipendente pubblico che, per ragioni di servizio, abbia subito infermità o lesioni gravi che lo abbiano reso inabile allo svolgimento del proprio lavoro. Viene concessa al docente che abbia richiesto il riconoscimento della causa di servizio in costanza di lavoro, ovvero entro cinque anni dal pensionamento.
Il procedimento per l’accertamento della dipendenza da causa di servizio è regolamentato dal citato DPR 461/01. Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio in esso previsto costituisce accertamento definitivo anche nell’ipotesi di successiva richiesta di equo indennizzo e di trattamento pensionistico di privilegio. Dopo il giudizio espresso dalle competenti Commissioni Mediche su diagnosi, natura, ascrizione tabellare ed idoneità del soggetto al servizio, e in seguito al parere tecnico del Comitato di verifica delle cause di servizio sulla dipendenza delle infermità dal servizio medesimo, il procedimento si conclude con un decreto dell’amministrazione scolastica che viene comunicato all’interessato. Il provvedimento negativo, ove assunto dall’amministrazione, può essere impugnato in sede giurisdizionale.
Quanto alla concessione dell'equo indennizzo, se richiesta unitamente al riconoscimento di infermità o, in ogni caso, prima della formulazione del parere del Comitato di verifica può essere attribuito, con un unico provvedimento formale, contestualmente al riconoscimento della dipendenza mentre; ove richiesto successivamente, l'attribuzione è subordinata alla verifica dei termini procedurali .
Per ciò che concerne l'attribuzione di pensioni privilegiate, ferma l’unicità della pronuncia del Comitato per la verifica delle cause di servizio in ordine alla dipendenza della infermità, l'avvenuto riconoscimento non comporta automaticamente l'attribuzione della pensione privilegiata. Perché ciò avvenga, invece, è necessario che le commissioni mediche, in sede di giudizio di loro competenza, dichiarino le infermità richiesta a riconoscimento invalidanti al punto da rendere il richiedente inabile al servizio. Ne deriva, quindi, che ove tale pronuncia sia già contenuta nel parere fornito dalla Commissione Medica, l'avviso positivo sulla dipendenza espressa dal Comitato di verifica dovrà ritenersi sufficiente per l'attribuzione della pensione privilegiata mentre, ove ciò non sussista, sarà necessario interpellare, al riguardo, nuovamente le Commissioni, sul punto della inabilità al servizio, facciano conoscere il loro giudizio.
Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 7 dell’ 1 - 14 aprile 2011
Commento giurisprudenziale
VIA LIBERA ALLO SPONSOR IN CAMBIO DI PIU’ QUALITA’
(Nessun ostacolo normativo se la pubblicità consente più economie e un’erogazione di servizi migliori)
Legittimamente la scuola può ricorrere alla sponsorizzare per l’acquisto degli arredi scolastici, quale strumento innovativo per realizzare maggiori economie, e assicurare una migliore qualità dei servizi.
Così decide il Tar Puglia, respingendo la richiesta di annullamento del bando di gara da parte di associazioni sindacali, di genitori e di studenti che denunciavano la violazione di principi comunitari in materia di trasparenza, parità di trattamento, proporzionalità, e di neutralità che devono ispirare l’agire della pubblica amministrazione in quanto - a dire degli stessi ricorrenti – i messaggi pubblicitari apposti sugli arredi scolastici potrebbero incidere negativamente sul processo formativo della personalità dei minori che frequentano le aule scolastiche (Tar Puglia, 28.12.2010 n. 4312).
La vicenda
Un’amministrazione scolastica pugliese indiceva una gara nella quale chiedeva alle aziende concorrenti di erogare un determinato importo per l'acquisto di banchi e sedie, offrendo in cambio la possibilità di pubblicizzare sugli arredi il nome della ditta
attraverso l'applicazione di una piccola placca di 10 centimetri di materiali, colori e messaggio a scelta dello sponsor. In particolare, a beneficiare dei contributi dei privati saranno 26 scuole pugliesi, che riceveranno così i banchi e sedi di cui hanno bisogno.
Con l’iniziativa, i promotori – considerate le offerte private ricevute - contavano di acquistare in un solo anno quello che altrimenti avrebbero potuto procurarsi in tre anni, con i normali contributi degli enti territoriali, creando un precedente che consenta alla scuola pubblica di migliorare sempre di più.
Al contrario, secondo le associazioni di lavoratori, genitori e studenti ricorrenti, con tale forma di sponsorizzazione sarebbero stati violati i principi comunitari in materia di evidenza pubblica (trasparenza, parità di trattamento, proporzionalità) ed il principio di neutralità, ed inoltre i messaggi pubblicitari applicati su banchi e sedie avrebbero potuto essere diseducativi per gli alunni che frequentano le aule scolastiche.
Il Tar Puglia conferma le legittimità della scelta del meccanismo della sponsorizzazione per l’acquisto degli arredi da parte degli istituti scolastici.
Motivi della decisione
Il Tribunale amministrativo pugliese evidenzia in primo luogo che la possibilità per le amministrazioni pubbliche – anche scolastiche - di ricorrere alla sponsorizzazione per procurarsi beni e servizi è espressamente disciplinata dall’art. 43 legge n. 449/1997 (si veda in particolare il comma 1: "Al fine di favorire l’innovazione dell’organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati, le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile.") e dall’art. 119 dlgs n. 267/2000 ("1. In applicazione dell’art. 43 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati, i comuni, le province e gli altri enti locali indicati nel presente testo unico, possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione, nonché convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi.").
Si aggiunga per completezza – anche se il Tar Puglia non richiama la norma nella sentenza in oggetto – che lo stesso regolamento di contabilità delle istituzione scolastiche (approvato con decreto interministeriale n. 44 del 1.2.2001) prevede esplicitamente, all’articolo 41, la sponsorizzazione. Si veda: “Art. 41 (Contratti di sponsorizzazione): 1. Le istituzioni scolastiche possono concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti pubblici o privati. 2. E' accordata la preferenza a soggetti che, per finalità statutarie, per le attività svolte, ovvero per altre circostanze abbiano in concreto dimostrato particolare attenzione e sensibilità nei confronti dei problemi dell'infanzia e della adolescenza.
3. E' fatto divieto di concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti le cui finalità ed attività siano in contrasto, anche di fatto, con la funzione educativa e culturale della scuola”.
Pertanto l’amministrazione scolastica accusata dalle associazioni ricorrenti di utilizzare uno strumento – lo sponsor – contrario a norme e principi in tema di pubblica amministrazione, si era in realtà semplicemente avvalsa di una possibilità prevista dalla legislazione vigente, e dalle stesse istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche.
Inoltre, secondo il giudice, allo stato, non era ancora possibile prevedere quale tipo di sponsorizzazione-pubblicità sarebbe stata in concreto apposta sugli arredi scolastici: ciò si potrà affermare unicamente all’esito dell’espletamento della gara, e soltanto in caso di sponsorizzazioni concretamente lesive della sfera di interessi rappresentata dalle diverse associazioni sindacali, di genitori e di studenti, ricorrenti sarà eventualmente ipotizzabile una loro valida azione in sede giurisdizionale. Peraltro, nel caso si specie, il bando di gara adottato dall’amministrazione pugliese correttamente contemplava una apposita clausola finale di salvaguardia che impedisce le sponsorizzazioni "vietate" riguardanti propaganda di natura politica, sindacale, filosofica o religiosa, pubblicità diretta o collegata alla produzione o distribuzione di tabacco, prodotti alcoolici, materiale pornografico o a sfondo sessuale, messaggi offensivi incluse le espressioni di fanatismo, razzismo odio o minaccia. In questo modo, anche gli eventuali rischi per lo sviluppo formativo della personalità dei minori studenti sembrano essere stati preventivamente scongiurati dalla scuola.
Le associazioni di lavoratori, genitori e studenti ricorrenti, pur non condividendo il contenuto della sentenza del Tar Puglia, pare che al momento non intendono impugnare la decisione, ma si riservano di verificare l’ulteriore corso della procedura di gara, e, ove lo ritengano non conforme alla normativa, di proporre un nuovo ricorso.
Anna Nardone
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 3 del 4 - 17 febbraio 2011
LE REGOLE PER LA SICUREZZA
(Spetta al preside segnalare agli enti locali tutti gli interventi da effettuare)
Gli edifici scolastici, i locali e le relative attrezzature, sono patrimonio dello Stato o degli enti territoriali (Regioni, Province e Comuni). In particolare, gli edifici destinati a sede di scuole materne, elementari e medie appartengono ai Comuni; quelli sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, ivi compresi licei artistici e istituti d’arte, conservatori di musica, accademie convitti e istituzioni educative statali, sono di proprietà delle Province – alle quali sono trasferiti anche quegli immobili già appartenenti allo Stato o ai Comuni e utilizzati come sede delle predette istituzioni scolastiche, con conseguente assunzione dei relativi oneri da parte della provincia.
Infatti, secondo le norme vigenti, gli enti proprietari degli immobili hanno l’obbligo di realizzare e/o fornire i locali scolastici, e così spettano loro gli oneri dei necessari interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di ristrutturazione, ampliamento e adeguamento alle norme vigenti, salva la facoltà di delegare alle istituzioni scolastiche funzioni di manutenzione ordinaria, con assegnazione delle risorse necessarie all’esercizio delle funzioni delegate.
Con riferimento alla sicurezza dei locali – a tutela della salute degli alunni e del personale nei luoghi scolastici - il decreto legislativo 81 del 2008 (e successive integrazioni), in attuazione della delega al Governo in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro – ha provveduto al riassetto delle norme vigenti in materia, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo.
Si prevede che gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare la sicurezza dei locali e gli edifici in uso a pubbliche amministrazioni o pubblici uffici, sono a carico degli enti tenuti per legge o per convenzione alla loro fornitura e manutenzione. In particolare, per quanto riguarda la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati a sede di istituti scolastici, gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari sono a carico dell'amministrazione comunale o provinciale cui appartengono. In tal caso, gli obblighi previsti dalle norme vigenti si intendono assolti, da parte dei dirigenti scolastici, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente.
Infatti le norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro individuano nel dirigente scolastico il datore di lavoro responsabile della sicurezza nelle scuole, ove devono essere rispettate tutte le specifiche normative finalizzate alla prevenzione e protezione dai rischi, secondo il principio che “L’ambiente scolastico deve essere pulito, accogliente, sicuro. Le condizioni igieniche e di sicurezza dei locali e dei servizi devono garantire una permanenza a scuola confortevole per gli alunni e il personale” (Carta dei servizi della scuola, 1995). Al dirigente scolastico sono affidati compiti di informazione e formazione del personale e degli allievi; è fatto altresì obbligo di compiere una valutazione dei rischi specifici e, all’esito di tale valutazione, di elaborare una documento contenente una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro; l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale; il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza. Il documento è custodito presso la scuola. Il dirigente provvede all’individuazione dei responsabili al servizio di prevenzione e protezione; alla designazione del medico competente, per i casi di necessità, e della figura di un soggetto preposto ai luoghi ove tale figura è specialmente necessaria (laboratori, officine, aule speciali, ecc). Il capo d’istituto tiene poi un registro degli infortuni nel quale sono annotati cronologicamente gli venti che comportano un'assenza dal lavoro di almeno un giorno, e custodisce, a scuola, la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria, con salvaguardia del segreto professionale, e ne consegna copia al lavoratore stesso al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, ovvero quando lo stesso ne faccia richiesta.
A livello più complessivo, recenti norme hanno previsto iniziative di risanamento degli edifici pubblici, con riguardo ai rischi connessi alla presenza di amianto, assegnando la priorità – tra gli altri - agli edifici scolastici; ed altresì interventi per assicurare la messa in sicurezza degli edifici scolastici presenti nel territorio nazionale che presentano aspetti di particolare criticità sotto il profilo della sicurezza sismica. In tali interventi vengono coinvolti – in controtendenza rispetto alle competenze in materia di lavori pubblici assegnate alle autonomie territoriali dalla Costituzione - il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, e il Ministero delle Infrastrutture, d’intesa con la Conferenza Unificata - istituita con d.lgs. 281 del 1997 come sede congiunta della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali.
Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 15 del 17 - 30 settembre 2010
E’ POSSIBILE VENDERE PRODOTTI
(Ammesso anche lo svolgimento di servizi per conto terzi)
Con riferimento alle singole figure contrattuali attraverso cui le istituzioni scolastiche perseguono i propri fini, le norme vigenti prevedono che le scuole – oltre che acquistare beni, servizi, prestazioni d’opera intellettuale, etc. - possono anche vendere quanto prodotto nell'esercizio delle proprie attività, e svolgere servizi per conto terzi. Inoltre, possono cedere materiali di risulta, beni fuori uso, obsoleti e non più utilizzati, con vendita previo avviso da pubblicarsi nell'albo della scuola, e aggiudicazione al migliore offerente.
Diversamente, l'alienazione di beni immobili di proprietà degli istituti scolastici è sempre disposta con le procedure di gara disciplinate dalle norme generali di contabilità dello Stato.
Qualora nell'esplicazione delle attività scolastiche vengano prodotti rifiuti che per legge devono essere assoggettati a trattamento speciale, il dirigente provvede invece a smaltirli previ accordi con enti, aziende pubbliche e concessionari idonei al trattamento di rifiuti. E' consentito il ricorso a ditte operanti sul libero mercato solo ove non sia possibile fruire del servizio di smaltimento pubblico.
Le scuole possono poi concedere a terzi l’utilizzazione temporanea di locali scolastici, a condizione che ciò sia compatibile con la destinazione dell'istituto stesso ai compiti educativi e formativi, fermo che l'utilizzatore risponde, a tutti gli effetti di legge, delle attività e delle destinazioni del bene stesso: a tale fine il concessionario è tenuto a stipulare una polizza assicurativa. A loro volta, le scuole possono ricevere in comodato da enti ed istituzioni, soggetti pubblici o privati, beni da utilizzare gratuitamente nello svolgimento della attività educativa e formativa.
Per assicurare il diritto allo studio, gli istituti possono concedere, in uso gratuito, beni mobili e libri, provvedendo a pubblicizzare, mediante affissione all'albo, l'elenco dei beni che possono essere concessi in uso gratuito. Inoltre, ferma la competenza degli enti locali in materia di diritto allo studio, le scuole possono integrare con proprie risorse, i trasferimenti degli enti locali, ovvero assegnare borse di studio annuali o infrannuali agli studenti, sulla base di preventivi criteri deliberati dal Consiglio di istituto, su proposta, per i profili didattici, del collegio dei docenti.
Le istituzioni scolastiche possono acquistare beni immobili esclusivamente con fondi derivanti da attività proprie, da legati, eredità e donazioni. In particolare, le scuole possono accettare donazioni, legati ed eredità anche assoggettate a disposizioni modali, a condizione che le finalità indicate non contrastino con le finalità istituzionali. L'istituzione scolastica può motivatamente rinunciare all'accettazione.
In luogo degli acquisti di competenza, le istituzioni scolastiche, previa valutazione di convenienza da operarsi a cura del dirigente, hanno facoltà di stipulare contratti di locazione finanziaria per la realizzazione di finalità istituzionali, con esclusione dell'acquisizione della disponibilità di beni immobili. Quando l'istituzione scolastica non abbia interesse ad esercitare il potere di riscatto del bene, può determinarsi ad esercitarlo su richiesta provenienti dal personale dell'istituzione stessa o da studenti.
Possono anche contrarre mutui, sempre che l'impegno complessivo annuale per il rimborso non ecceda, sommato all'impegno per canoni di contratti di locazione finanziaria, il quinto della media dei trasferimenti ordinari dello Stato nell'ultimo triennio.
La durata massima dei mutui è quinquennale.
Possono concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti pubblici o privati, con preferenza a soggetti che abbiano in concreto dimostrato particolare attenzione e sensibilità nei confronti dei problemi dell'infanzia e della adolescenza.
Infine, nei casi in cui la manutenzione ordinaria degli edifici scolastici e delle loro pertinenze è delegata alle istituzioni scolastiche dall'ente locale, per l'affidamento dei relativi lavori, si applicano le norme del regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche.
Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 13 del 17 - 30 giugno 2010
MEDIAZIONE INDISPENSABILE
(Importante costruire relazioni positive all’interno dei luoghi formativi)
Anche nel mondo della scuola, come in tutti i sistemi sociali complessi, lo strumento della mediazione si rivela sempre più imprescindibile quale metodo di soluzione dei conflitti capace di ricreare relazioni costruttive tra le parti coinvolte.
Attraverso la mediazione - processo in cui un terzo neutrale, organizzando scambi tra le parti, permette a queste stesse di confrontare i loro punti di vista e di cercare una soluzione al conflitto – si riconoscono i conflitti, si delineano possibili sviluppi, si gestiscono costruttivamente gli andamenti e le conseguenze. Ciò al fine di costruire relazioni positive all’interno di contesti formativi, e così una didattica volta a favorire gli apprendimenti e a soddisfare i bisogni di alunni, famiglie, insegnanti ed educatori.
Infatti, come ricordato nello Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, la scuola è una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni; la comunità scolastica, interagendo con la più ampia comunità civile e sociale di cui è parte, fonda il suo progetto e la sua azione educativa sulla qualità delle relazioni insegnante-studente.
Il progetto di mediazione scolastica integra obiettivi specifici a quelli più generali che derivano dalla definizione di mediazione quale processo attraverso il quale un soggetto esterno alla situazione conflittuale crea un contesto che facilita la comunicazione fra le persone, permettendo loro di gestire e trasformare positivamente la condizione di rottura nella quale si trovano, alla ricerca di un accordo che soddisfi i soggetti coinvolti. In altre parole, l'obiettivo della mediazione è quello di restituire ai soggetti il potere ma anche la responsabilità di assumere una decisione in ordine allo scontro che li oppone, utilizzando modalità di risoluzione dei conflitti alternative rispetto a quelle tradizionali affidate ad un terzo che decide – spesso, però, senza soddisfare le esigenze di ricomporre anche le relazioni interpersonali. Il ricorso alla mediazione non è originato solo dalla crisi qualitativa e quantitativa della giustizia, ma soprattutto dalla convinzione che, più che sui rimedi, l’accento vada posto sulle cause che conducono alla litigiosità, facendo sorgere una cultura del conflitto che dia risposte adeguate, in termini di intervento e anche di prevenzione.
La mediazione, nata in Canada ed esportata in molti paesi dell’area occidentale, ha per obiettivo riattivare il dialogo fra le parti, attraverso l’intervento di soggetti che, formati alla capacità di ascolto, non giudicano, non emettono sentenze, non stabiliscono né vinti né vincitori, ma ricompongono, attraverso un’azione che aiuta a fare emergere il potenziale umano dalle parti in conflitto, ripristinando il circuito di comunicazione interrotto, trasformando in elemento positivo di crescita quella stessa energia utilizzata dalle parti per portare avanti la controversia. La mediazione trova senso nelle situazioni in cui, più che l’intervento di un giudice, serve dare effettivo ascolto e risposte, anche in termini di linguaggio, più adeguate al contesto.
La mediazione c.d. scolastica, in particolare, mira a sensibilizzare al tema della comunicazione e del conflitto, a formare mediatori e a creare una stretta collaborazione tra il contesto scolastico e territoriale (insegnanti, dirigenti, genitori, educatori, assistenti sociali dei comuni, etc.).
E’ soprattutto il dirigente scolastico – nel suo ruolo di datore di lavoro - a dover conoscere e applicare con efficacia i metodi di intervento della mediazione, così da realizzare un clima di lavoro sereno e produttivo, anche nell’interesse degli allievi. Non può esserci infatti successo formativo degli allievi, qualunque sia il loro corso di studi, senza una buona qualità delle relazioni interpersonali. Ancora oggi è profonda l’insoddisfazione al riguardo espressa da tutte le componenti della scuola: studenti, docenti, dirigenti, famiglie; e non di rado questo malessere arriva a manifestarsi con azioni anche gravi, dal mobbing, al bullismo, al vandalismo, alla dispersione scolastica, dimostrative del disagio sociale. Ciò accade perché difettano ancora le capacità di trattare i momenti critici della relazione, quelli in cui nasce il conflitto: quest’ultimo dovrebbe essere considerato un momento fisiologico della relazione, e divenire occasione di crescita per tutti. In mancanza di strumenti idonei a gestirlo, il conflitto diventa distruttivo. Occorre quindi, anche nell’ambiente scolastico, una nuova educazione alla relazione, attraverso una maggiore sensibilizzazione rispetto alla tematica del conflitto e delle diverse modalità di gestione; una promozione del dialogo e della comunicazione rispetto ai conflitti che vengono vissuti nella quotidianità della scuola; e – non ultima - la creazione di figure di mediatori preparati. riconosciuti e presentati dall’istituzione scolastica stessa.
Domenico Barboni
(Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 8 del 15 - 28 aprile 2010)
ACQUISTI IN LINEA CON LA UE
(Vanno rispettate le norme di concorrenza e dei principi comunitari)
Le scuole che intendono stipulare contratti d’acquisto di beni e servizi, anche se non sono vincolate alle regole analitiche riferite a pubblicità e procedure previste dal codice degli appalti, sono comunque tenute ad osservare criteri di condotta che consentano la più ampia partecipazione delle imprese interessate, il rispetto delle regole di concorrenza e dei principi comunitari.
La materia è disciplinata dal regolamento di contabilità delle istituzioni scolastiche (approvato con DI 44/2001) che individua, tra l’altro, una disciplina dell’attività negoziale delle scuole in parte derogatoria rispetto alle norme sulla contabilità dello Stato, e che continua ad applicarsi anche dopo l’entrata in vigore del codice degli appalti, in quanto regime normativo speciale e prevalente. Si osserva tuttavia che le norme del citato regolamento di contabilità presentano delle lacune che necessariamente richiedono il ricorso alle previsioni del codice degli appalti, al fine di assicurare che anche le procedure negoziali delle scuole rispettino i principi di economicità, correttezza, imparzialità, tempestività, efficacia, principi fondamentali e comuni all’attività amministrativa e al diritto comunitario, che come tali si applicano a tutti gli appalti pubblici, anche di modesto valore.
Anzi: il regolamento precisa che è sempre possibile il ricorso alle procedure di gara disciplinate dalle norme generali di contabilità dello Stato, e che le istituzioni scolastiche sono in ogni caso tenute ad osservare le norme dell'Unione Europea in materia di appalti e/o forniture di beni e servizi.
In particolare, è previsto che le scuole, per il raggiungimento e nell'ambito dei propri fini istituzionali, hanno piena autonomia negoziale, e possono stipulare convenzioni e contratti, con esclusione dei contratti aleatori e speculativi, della partecipazione a società di persone e società di capitali, dell’acquisto di servizi per lo svolgimento di attività che rientrano nelle ordinarie funzioni del personale in servizio nella scuola.
E’ il dirigente, quale rappresentante legale dell'istituto, l’organo deputato a svolgere l'attività negoziale necessaria all'attuazione del programma annuale, nel rispetto delle deliberazioni del consiglio d'istituto; il medesimo può delegare lo svolgimento di singole attività negoziali al DSGA, al quale compete, comunque, l'attività negoziale connessa alle minute spese.
Per l’attività di contrattazione riguardanti acquisti, appalti e forniture il cui valore complessivo ecceda il limite di spesa di € 2.000, il dirigente procede alla scelta del contraente, previa comparazione delle offerte di almeno tre ditte direttamente interpellate.
Concretamente, la scelta dei fornitori avviene attraverso ricerche di mercato, consultazione albi, prezzari, elenchi di fornitori, etc. Spesso le scuole si dotano di elenchi di fiducia di fornitori, suddivisi per categorie merceologiche, creati con procedure aperte e rese pubbliche.
L'invito a presentare un'offerta deve contenere, oltre ai criteri di aggiudicazione, l'esatta indicazione dei beni e servizi che si intendono acquistare; la quantificazione delle spese; il termine per la presentazione dell’offerta; i termini e le modalità di esecuzione e di pagamento.
La valutazione delle offerte è preceduta dalla compilazione di un prospetto comparativo, che indichi puntualmente le offerte dei soggetti ammessi alla gara, con riferimento al prezzo, agli sconti, alle condizioni, etc. La valutazione non deve essere riferita a criteri puramente economici, ma deve tener conto della qualità del materiale offerto, delle condizioni complessive, della serietà del proponente. Il criterio del prezzo più basso, infatti, è consigliato nei casi in cui il materiale da acquistare deve risultare conforme a prescrizioni tecniche prefissate e immutabili.
Si precisa che così come in ogni procedimento comparativo, i criteri di valutazione devono essere stabiliti prima di iniziare la procedura ed esplicitati nella lettera di invito a presentare l’offerta; ugualmente, in ossequio ai principi in tema di procedimento amministrativo, il dirigente scolastico – organo al quale compete l’attività negoziale e l’imputazione della spesa - deve motivare il provvedimento di scelta esponendo l’iter attraverso cui si è formata la sua volontà, con particolare riferimento ai criteri di aggiudicazione prefissati. La volontà del dirigente viene formalizzata nella lettera d’ordinazione, che deve avere forma scritta, e contenere termine e luogo di consegna, condizioni di fornitura, modalità e tempi di pagamento, e rappresenta - dal punto di vista giuridico l’accettazione della proposta contrattuale - contenuta nell’offerta.
Il saldo del pagamento dei lavori può essere disposto solo dopo il collaudo finale ovvero la certificazione di regolarità tecnica – prevista per forniture di valore inferiore a EURO 2.000. Alla liquidazione della spesa provvede il direttore dei servizi generali e amministrativi, sulla base del controllo dei titoli e documenti giustificativi.
Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 13 del 17 - 30 giugno 2010
LA SPESA SULLE AMMINISTRAZIONI
(Gli oneri delle visite fiscali non possono ricadere sulle Regioni)
La Corte Costituzionale, con decisione del 10 giugno 2010 n. 207, ha dichiarato l’illegittimità della legislazione statale che pone gli oneri economici delle visite fiscali sui dipendenti pubblici assenti per malattia a carico delle Regioni, per il tramite delle aziende sanitarie, in quanto lede la competenza legislativa regionale in materia di tutela della salute e l’autonomia finanziaria delle Regioni, vincolando una quota delle risorse del servizio sanitario a sostenere il costo di una prestazione (cfr. commi 5-bis e 5-ter dell’art. 71 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112).
Per effetto della decisione, le pubbliche amministrazioni dovranno fare i conti con i propri bilanci, e reperire – verosimilmente con difficoltà - all’interno delle risorse disponibili per la normale amministrazione quelle necessarie per liquidare i compensi al medico fiscale.
La norma oggetto della pronuncia della Corte così disponeva: “5-bis. Gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia effettuati dalle aziende sanitarie locali su richiesta delle Amministrazioni pubbliche interessate rientrano nei compiti istituzionali del Servizio sanitario nazionale”; e “5-ter. A decorrere dall’anno 2010 in sede di riparto delle risorse per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale è individuata una quota di finanziamento destinata agli scopi di cui al comma 5-bis, ripartita fra le regioni tenendo conto del numero dei dipendenti pubblici presenti nei rispettivi territori, gli accertamenti di cui al medesimo comma 5-bis sono effettuati nei limiti delle ordinarie risorse disponibili a tale scopo”.
Secondo la Corte, la disciplina delle visite fiscali sul personale pubblico assente per malattia deve essere correttamente ricondotta alla materia di competenza legislativa concorrente della «tutela della salute», nell’ambito della quale alla Regione spetta di legiferare nel dettaglio, e allo Stato unicamente di determinare i principi fondamentali della disciplina (cfr. art 117, comma 3, Cost.).
Infatti, la disciplina degli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti per malattia, anche se viene attivata per soddisfare l’interesse del datore di lavoro volto a controllare e verificare la regolarità e legittimità dell’assenza per malattia del lavoratore, viene altresì a configurare una prestazione di tipo sanitario che si sostanzia, quanto meno, in una diagnosi sulla salute del lavoratore conforme o difforme rispetto a quella effettuata dal medico curante o alla condizione denunciata dal lavoratore e che può anche determinare l’adozione di misure che eccedono la persona del dipendente, qualora l’accertamento evidenzi patologie che presentino rischi di contagio.
Una volta stabilito che le norme impugnate rientrano nella materia «tutela della salute», occorre concludere che, trattandosi di una materia rimessa alla competenza legislativa concorrente, lo Stato avrebbe potuto legittimamente adottare solo una normativa di principio.
Al contrario, è evidente che la disciplina introdotta dai commi 5-bis e 5-ter non lascia alcuno spazio di intervento alla Regione non solo per un’ipotetica legiferazione ulteriore, ma persino per una normazione di mera esecuzione, con l’effetto, peraltro, di vincolare risorse per l’effettuazione di una prestazione, in tal modo, anche sull’autonomia finanziaria della Regione, tutelata dall’art. 119 Cost.
In conclusione, il comma 5-bis dell’art. 71 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, il quale dispone che le visite fiscali sul personale dipendente delle pubbliche amministrazioni rientrano tra i compiti istituzionali del servizio sanitario e che i relativi oneri sono a carico delle aziende sanitarie, dettando una normativa di dettaglio in materia di «tutela della salute», si pone in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., mentre il comma 5-ter, che vincola una quota delle risorse per il finanziamento del servizio sanitario nazionale, si pone in contrasto con l’art. 119 Cost., ledendo l’autonomia finanziaria delle Regioni.
Domenico Barboni
Pubblicato su “Il Sole 24 Ore Scuola” n. 17 del 15 - 28 ottobre 2010